Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Il carcere minorile Ferrante Aporti e VICINI: un incontro. 2° parte.

L’età media dei giovani detenuti al Ferrante Aporti è 17/18 anni; si fermano in Istituto circa un mese o poco più. La dottoressa Picco sottolinea l’attenzione all’individualità dei ragazzi, alle loro storie personali che li hanno condotti alla restrizione in carcere. “Ognuno è considerato una storia a sé, ogni ragazzo che viene preso in carico ha l’opportunità di usufruire di una progettualità di rieducazione, di reinserimento nella società: c’è chi vi aderisce e chi rimane totalmente disinteressato. La recidiva è fortunatamente molto bassa a Torino. Tra i ragazzi che seguono il percorso di messa alla prova, cioè non in carcere ma nel penale esterno, l’80% ha esito positivo”.

Il Ferrante offre la possibilità di partecipare a corsi scolastici e professionali. Prosegue la direttrice: “Abbiamo corsi di educazione scolastica e di formazione professionale. La scuola Dogliotti di via Sidoli è, nella sua organizzazione, anche scuola carceraria. Quattro sono gli insegnanti che quotidianamente vengono a fare alfabetizzazione, soprattutto per stranieri, e i percorsi proseguono fino alla terza media. Ci sono anche ragazzi iscritti alle scuole superiori, aiutati con progetti specifici da insegnanti volontari”. Il volontariato è un’altra importante realtà all’interno del carcere.

Per la formazione professionale, i ragazzi dispongono di un corso di arte bianca, di ceramica, di parrucchiere e di informatica, tutti finanziati dalla Provincia di Torino. I giovani acquisiscono competenze, viene rilasciata una certificazione spendibile in esterno mediante l’iscrizione a corsi analoghi.SF010000000077D

A disposizione, ci sono anche attività sportive e ricreative, e ovviamente la preferita è il calcio. Prima dei lavori di ristrutturazione degli ultimi due anni, sono stati attuati scambi con società sportive e organizzati mini tornei interni. In passato, anche contatti con le squadre di Juventus e Torino. Ora che il campo sportivo tornerà funzionante, l’idea della dirigenza è di entrare a far parte di un campionato giovanile, “giocato ovviamente senza trasferte”. A marzo 2010, l’anno dei Mondiali, la Coppa del Mondo di Calcio in arrivo a Torino ha sostato al Ferrante Aporti, grazie ad un progetto con il settore giovanile della FIGC.

Tra i lunghi e intensi progetti educativi, si evidenzia un percorso di tre anni con la Casa di Produzione Doc in Progress, che ha portato alla realizzazione di Radio Ferrante. Conclusosi a maggio 2012, il lavoro, in dieci puntate, consiste in audio documentari nati nell’ambito del progetto “Docusound”, e grazie alla collaborazione con il Salone del Libro, cui il Carcere Minorile partecipa ogni anno. I ragazzi detenuti hanno avuto l’opportunità di parlare di sé, della propria quotidianità, di intervistare operatori, insegnanti, volontari.

L’ultima puntata dello scorso anno era dedicata alle interviste agli scrittori Luigi Garlando,  per il romanzo “Per questo mi chiamo Giovanni”, ispirato alla vita di Giovanni Falcone, e Fabio Geda, autore del libro “La bellezza nonostante”, storia del maestro Mario che da 30 anni lavora al Ferranti. Anche questo audio documentario è stato registrato senza telecamere all’interno del carcere dal regista di Doc in Progress, Matteo Bellizzi, in collaborazione con lo scrittore Emiliano Poddi e lo stesso Fabio Geda, determinanti per la partecipazione del Ferrante Aporti al progetto “Adotta uno scrittore”.

Sono dunque molte, e di grande rilevanza, le attività promosse dall’Istituto ma, nonostante questi aspetti indubbiamente importanti, la dottoressa Picco si sofferma con rammarico sul percorso doloroso dei suoi ragazzi: “E’ un lavoro difficile. Ci rapportiamo con una fascia d’utenza molto delicata, particolare. Il carcere, al di là di tutte queste positività, è sempre un luogo di vera sofferenza. Ci sentiamo comunque un’istituzione chiusa. D’altra parte, è giusto preservare la sicurezza dei cittadini. Io mi pongo la domanda se serve o no il carcere per questi ragazzi: forse non serve. Se pensiamo che sono giovani in fase di educazione, la chiusura del carcere è tutto ciò che non è educazione. Educazione è libertà, e qui la libertà viene negata su qualunque cosa, tranne che sul pensiero. L’unica positività di un luogo chiuso è che i ragazzi hanno tempo per pensare: è una prerogativa che fuori non hanno, non possono o non vogliono avere. Qui hanno tante persone che li aiutano a pensare. Non sono soli, ma nella condizione di riflettere su di sé, hanno meno distrazioni e lo spazio di pensiero sul motivo che li ha condotti in carcere ad alcuni fa molto bene”.

Talvolta lo sconforto induce a gesti isolati di autolesionismo fra i giovani detenuti: “Negli anni sono diminuiti molto, ma a volte accadono. Farsi male distoglie dalla sofferenza che non si riesce a governare con la propria testa. Sicuramente i momenti più delicati sono la sera e fine settimana. Molto e ottimo è il lavoro che fanno gli agenti, che sono gli unici operatori sempre presenti. Ora sono in numero idoneo, in quanto si sono aggiunte forze nuove. Gli agenti del Minorile hanno una specializzazione specifica nel relazionarsi con i ragazzi detenuti, nel porsi con autorevolezza, non con autorità. A volte basta una mezza parola per superare un momento delicato. Fanno con passione un lavoro molto difficile e prezioso”.

Finisce qui il nostro viaggio di conoscenza all’interno del Ferrante Aporti. Ringraziamo la direttrice Picco e il comandante Tralli per averci permesso di capire quanta umanità lasciamo dietro di noi una volta usciti dal portone di ferro, e tornati nel mondo consueto.

Rossella Lajolo                               rossellal@vicini.to.it