Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

“Nascere, vivere e morire” al Centro Interculturale di C.so Taranto 160

Sabato 22 Novembre, dalle 10 alle 11.30, presso il Centro Interculturale di C.so Taranto 160 si è tenuta una nuova lezione di “Nutrire l’anima” dedicata quest’oggi a “Nascere, vivere, morire”.

Il “morire”, in particolare, ha costituito il tema dominante della mattina. Esistono diversi modi, a seconda delle confessioni religiose d’appartenenza, di trattare la morte. I cosiddetti “riti funebri” sono tali solo perché condivisi da tutta la comunità che, praticandoli, si riconosce in essi.orsiride-iside

Nella mummificazione il cadavere andava conservato integro cosicché esso potesse sopravvivere oltre la morte. La pratica è, come risaputo, associata agli Egizi e agli indigeni peruviani. Essa è sintomatica di una concezione “elitaria” della morte poiché venivano mummificati solo individui di classi sociali elevate.

L’inumazione (o sepoltura) è storicamente legata alla tradizione greca. Lasciare un cadavere insepolto equivaleva a commettere un oltraggio estremo alla memoria del defunto (la letteratura greca è colma di esempi di questo tipo, come il sacrificio estremo di Antigone per inumare il fratello o Priamo supplice da Achille per riavere indietro il cadavere del primogenito Ettore). Il cadavere deve decomporsi sottoterra poiché, nell’aldilà, esistono solo ombre.

Una simile concezione della vita oltre la morte, come attestato dal libro di Daniele, interessa anche gli Ebrei. Essi, in occasione di un decesso, ricoprono il cadavere con dei teli bianchi ed effettuano dei riti di purificazione per circa due giorni. Il rito funebre nell’ebraismo, com’è facilmente immaginabile, non avviene mai di sabato.

I Romani, a differenza dei Greci, optavano per la cremazione. I cadaveri venivano bruciati e le ceneri conservate in delle urne, oggetto di culto domestico. Malgrado il Cristianesimo sia figlio della cultura classica, esso non ha mai adottato la cremazione come pratica funebre: se un domani non si risorgerà solo nello spirito, ma anche in carne e sangue è bene conservare il cadavere integro e non disintegrarlo tramite il fuoco. Anche l’Induismo ha adottato la cremazione come pratica funebre.

Gli induisti, essendo convinti che la carne umana senza lo spirito non abbia ragione di esistere, organizzano roghi collettivi chiamati pire. I cadaveri vengono bruciati fino allo scoppio della scatola cranica (segno dell’uscita dello spirito dal corpo). Dopodiché ci si volta, dando le spalle alla pira, e non c’è nessuna forma di venerazione del defunto.

Per un induista, laddove sia possibile, è consigliabile morire a Varanasi (la città più sacra dell’India). Le pire, posizionate lungo il corso del fiume Gange, ardono tutto il giorno. Coloro che sono addetti al trasporto e alla cremazione dei cadaveri sono dei fuori casta poiché la loro professione, insieme a quella di lavare i cessi pubblici, è considerata dal sistema castale induista la più impura. Questa sorta di “monatti” sono facilmente riconoscibili poiché, a furia di lavorare a stretto contatto con le fiamme, hanno la pelle scurissima a causa della fuliggine.

I soli a non poter essere cremati, nell’ambito dell’Induismo, sono i bambini inferiori ai tre anni, i malati infettivi e le donne gravide. I cadaveri di essi vengono buttati nelle acque del Gange.

Infatti il fiume più sacro dell’India è uno dei corsi d’acqua più inquinati al mondo. Non è insolito che, facendo un bagno purificatore in esso, ci si possa imbattere in un cadavere affiorante in superficie. . .

Una delle pratiche più barbare della religione induista è la sati, cioè l’usanza di bruciare le vedove insieme ai cadaveri dei loro mariti. La sati venne abolita dal regime coloniale britannico ma, come effetto controproducente, creò una pletora di vedove considerate impure e pertanto relegate come reiette ai margini della società. Purtroppo ancora oggi in alcuni villaggi, non certo a Nuova Delhi o Calcutta, la sati resiste pervicacemente.

L’ultima pratica funebre è l’esposizione, diffusa nello zoroastrismo e consistente nel lasciare il cadavere alla mercé degli uccelli rapaci. Lo zoroastrismo è una delle religioni più longeve, poiché era già diffusa presso l’antica Persia e oggi sopravvive in un’enclave corrispondente alla città di Bombay.

Lasciare un cadavere a decomporsi all’aria aperta pone a Bombay degli evidenti problemi di sanità pubblica. Sovente, aggirandosi per i sobborghi di Bombay, capita di imbattersi in stormi di uccelli rapaci intenti a divorare cadaveri zoroastriani esposti.

La totale decomposizione del cadavere è riservata all’aria aperta e non alla cremazione poiché il fuoco nello zoroastrismo è considerato sacro.

Il prossimo Sabato, cioè il 29 Novembre, in apertura di lezione si farà ancora un accenno alla valenza religiosa del suicidio.

Lorenzo Beatrice

lorenzob@vicini.to.it

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