Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Mimmo Gangemi a Cascina Roccafranca

Affabulatore generoso e appassionato della sua terra, la Calabria, Mimmo Gangemi ha intrattenuto il pubblico per due ore venerdì 18 marzo in Cascina Roccafranca. L’incontro della rassegna “Leggermente” verteva sul romanzo “La signora di Ellis Island” che Gangemi scrisse nel 2011, per Einaudi, prendendo spunto dalla storia della sua famiglia: il nonno emigrato in America e poi rientrato in Calabria dopo alcuni anni, e il padre, a sua volta partito per inseguire il proprio progetto di vita.coverGangemi

Temi centrali dell’incontro, dunque, sono la famiglia e l’emigrazione.

Sarà un caso, ma si tratta di temi centrali anche per la nostra società oggi ed il nostro tempo.

Rispetto al dibattito pubblico sulla famiglia- unioni civili, o famiglia tradizionale (magari proclamata con intenti puramente politici), Gangemi ricorda l’immagine del pescespada che si affolla in branchi verso lo Stretto, verso la sua destinazione riproduttiva. Il pescatore conosce il legame profondo che c’è tra il maschio e la femmina, e colpisce per prima la femmina perché sa che poi il maschio sarà disorientato, persino addolorato, come nei versi della canzone di Modugno, ed alla fine sarà facile preda esso stesso.

E se viene colpito prima il maschio?  la femmina…si mette in salvo e va a cercare miglior fortuna.

Una saga famigliare: una famiglia di gente che lavora i campi e cerca di riscattarsi dall’asservimento a una terra da cui ricava la propria sussistenza ma non un futuro. Gangemi allerta circa l’uso del termine “contadino”: Giuseppe, il protagonista, è un bracciante, come gli altri membri della famiglia in età di lavorare. Alla continua ricerca di una giornata di lavoro che permetterà di sopravvivere fino al prossimo ingaggio. L’emigrazione è il tentativo di uscire da questa servitù e diventare contadini, persone che possono lavorare un pezzetto di terra di proprietà, che  permetta anche di mettere da parte una quota del raccolto per il futuro: essere autori del proprio destino.

L’intervistatrice propone ora: qual è la differenza tra l’emigrazione, in particolare italiana, a “La Merica” (come veniva pronunciato all’epoca), ed i flussi odierni? Molte le somiglianze: Gangemi ricorda come i nostri connazionali fossero oggetto di una discriminazione in base al fatto di essere “non visibilmente neri”. In sostanza, nelle graduatorie razziali, i migranti venivano considerati alla stessa stregua dei neri, ma con l’aggravante della non immediata riconoscibilità. Erano sottoposti a umilianti visite mediche alla ricerca di malattie infettive che, se  diagnosticate, costavano il respingimento “con la stessa nave con la quale i migranti erano giunti”. Cosa che rappresentava il grave fallimento di un progetto lungamente sognato e preparato: il costo del passaggio in terza classe sul piroscafo era di 120 lire, pari ad un anno di lavoro come bracciante, a cui si dovevano aggiungere 20 lire che il migrante doveva dimostrare di possedere per potersi mantenere nel primo periodo di permanenza prima di trovare un lavoro. Fallire l’America era il fallimento per tutta la famiglia. Oggi i profughi arrivano purtroppo su barconi pericolosi e non sui piroscafi, se pure in terza classe, hanno maggiore cultura, spesso elevata, di cui però non sanno che farsi poiché scappano da guerre e persecuzioni politiche. La tragedia dell’emigrazione varia con i tempi, ma è sempre un dramma infinito.

E le donne che restavano a casa? Come cambiava la loro condizione, con gli uomini di famiglia lontani? Gangemi sottolinea che le donne non avevano meno importanza, solo apparentemente i ruoli erano marginali, in realtà fondamentali, e anch’esse “facevano” la storia della famiglia, in una condizione di matriarcato silenzioso e defilato. Lo scrittore ricorda divertenti storie di costume: le donne che andavano a messa e poi uscite dalla chiesa consultavano la maga.

Nella seconda parte del romanzo conosciamo il personaggio di Saverio, che è il padre di Gangemi, con la sua storia: la Cirenaica, la seconda guerra mondiale, la prigionia in Inghilterra, i ricordi che alla fine della vita racconta al figlio, gli anni lontano dalla Calabria. Lo scrittore conserva nel cuore questo testamento spirituale ricevuto da ragazzo… ed ecco il personaggio straordinario che troviamo nel libro. E’ anche affascinante la storia dello zio Ciccio, il sacerdote, che dissente dalla Chiesa la quale si rivolge ai potenti e non al popolo. Lui mette in piedi un liceo casalingo, per aiutare i ragazzi meritevoli a studiare e a farsi una cultura (lo suocero dello scrittore è stato uno di questi studenti).

Gangemi lavora molto sullo stile, sulla lingua dei suoi romanzi, trovando un’impronta che è la sua tecnica narrativa. Le forme dialettali calabresi vengono assunte a dignità di lingua, un tipo di scrittura che è solo sua, frutto di un lungo lavoro di ricerca.

Con l’accenno ai romanzi sul personaggio del giudice meschino, si entra nell’oggi della Calabria: si parla dei mali di questa terra, con gli scandali delle navi dei veleni, le scorie radioattive, la ‘ndrangheta, la cronaca vera che si afferma di prepotenza e di cui Gangemi parla senza risparmiarsi. C’è nella gente la consapevolezza di vivere nel rischio. Ma compete al popolo di questa terra, tanto bella e di antica cultura quanto ingiustamente maltrattata e trascurata, il non sentirsi “colpevole di ‘ndrangheta”, bensì testimoniare il positivo attraverso l’onesta vita di ogni giorno, anche quando la giustizia non aiuta.

E il miracolo della signora di Ellis Island cui tenne fede in modo assoluto il nonno Giuseppe per tutta la sua vita? Miracolo non fu, rivela Gangemi, piuttosto un equivoco. Ma il nonno vi costruì tutta la storia di riscatto sociale e culturale della sua famiglia…e questo è ciò che conta davvero.

Pubblico attento, entusiasta e numeroso.

Rossella Lajolo

rossellal@vicini.to.it

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

 

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