Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Papà, perché non mi comperi il cellulare?

Conferenza di Nicola Limardo, Salone del libro

Salone del libro 18 maggio, Caffè Letterari

L’argomento è oggetto di dibattito da sempre, ma in questa occasione la conferenza è rivolta particolarmente ai ragazzi delle scuole che sono intervenute numerose a questo Salone, con frotte di adolescenti festosi dovunque.

L’attenzione si è risvegliata in seguito ad una sentenza del Tribunale di Ivrea del marzo scorso (ma preceduta da analoga sentenza della Cassazione dell’ottobre 2012) che ha condannato l’INAIL a corrispondere un vitalizio a un lavoratore costretto a utilizzare il cellulare più di tre ore al giorno senza protezioni.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea riconosce che il tumore, benigno ma invalidante, contratto dall’uomo, è stato causato dall’uso scorretto del cellulare. “Per 15 anni ho utilizzato 3-4 ore al giorno il cellulare, poi, nel 2010, mi sono accorto che avevo l’orecchio tappato. Ho fatto quindi una risonanza magnetica da cui hanno scoperto che avevo un neurinoma nell’acustico all’orecchio destro”. Così Roberto Romeo, 57 anni, dipendente di una grande azienda italiana, racconta la sua esperienza. (http://www.rainews.it).

Nicola Limardo, esperto di inquinamento elettromagnetico, fa notare che la condanna obbliga l’INAIL e non il produttore.

Perché?

Perché i produttori si tutelano al di là di ogni possibile attacco, indicando delle precise precauzioni nelle istruzioni d’uso. Non a caso raccomandano l’uso degli auricolari e da molto tempo ormai li includono nelle dotazioni degli apparecchi. Un dato da tenere sempre in conto quando si tratta di energia elettromagnetica è che il livello di radiazione a cui siamo sottoposti aumenta (e diminuisce) con il quadrato della distanza. Detto in soldoni, se avvicini il naso al microonde di 10 cm, il livello maggiore di radiazioni a cui ti sottoponi (meglio, rischi di sottoporti) non è 10 ma 100.

Il problema nasce dal fatto che il campo elettromagnetico non lascia traccia: effetti negativi possono manifestarsi a decenni di distanza. Si parla di possibile danno biologico, quindi non sanitario: anche se particolari tipi di indagine strumentale (PET tomografia a emissione di positroni) possono far rilevare delle anomalie di tipo funzionale anziché morfologico come la TAC o la risonanza magnetica. Ma, il concetto sta passando da danno “possibile” a danno “probabile”.

La raccomandazione su cui convergono ormai produttori ed esperti, è tenere il cellulare a non meno di 1,5-2 cm dall’orecchio.

Non bisogna poi trascurare effetti di natura non strettamente tecnica.

E’ noto che l’eccessiva concentrazione dell’attenzione sul display (con l’uso smodato di videogiochi o un lavoro che richieda grande attenzione sullo schermo) può portare a dipendenza: si tratta di un’influenza dei colori sul cervello (ippocampo) di cui vediamo gli effetti ma le cui cause sono ancora da accertare.

E infine, di fenomeni di natura sociale come il cyberbullismo, che nulla ha a che vedere con la funzione del cellulare, ma che ha creato effetti tali da richiedere l’intervento del legislatore (un disegno di legge è stato approvato dalla Camera qualche giorno fa).

Quindi, glielo prendiamo o no questo cellulare?

Intanto bisogna ricordare che si tratta di un mezzo, quindi si parla di precauzioni non di proibizioni. Anche se, sottolinea Limardo, in molto Paesi esiste un divieto fino ai 12 anni e in India si va ancora più in là.

E che bisogna proteggere cervello, cuore e, per i maschietti, i genitali (non tenere il telefono in tasca).

Per i genitori, ricordarsi che questi ragazzi, oggi adolescenti, sono quelli che domani dovranno comandare il mondo (“Andiamo a comandare” intima Fabio Rovazzi). E se esiste un modo in cui il mondo è in pericolo (conclude Limardo citando Einstein) non è per i danni che ci piombano addosso, ma per chi li osserva e non fa nulla. limardo-diploma

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

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