Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Beni comuni e generazioni future. Un incontro al Campus Einaudi

Dice Carlin Petrini: “C’è una trasmissione, si chiama Master Chef.  Conoscete?” Un mormorio proviene dai 5 o 600 ragazzi in sala. “Ecco io quegli chef li conoscevo, erano persone normali, non sputavano per terra dicendo parolacce”.

L’intervento di Petrini apre l’incontro “Grassroots: Una democrazia buona, pulita e giusta per le generazioni future.” Un dialogo tra ecologia e diritto, tenuto al Campus Luigi Einaudi il 12 scorso. Oltre a Petrini partecipa Ugo Mattei, professore di Diritto internazionale e comparato dell’Università della California e Diritto civile all’Università di Torino. Modera la giornalista RAI Laura De Donato.

La gastronomia ridotta ad una ricetta,” continua Petrini.  “Ma nel cibo c’è l’agricoltura, la zootecnia, la chimica, la fisica (il fuoco); c’è biologia, genetica; e storia, antropologia, economia politica. Queste trasmissioni ci vendono una sorta di pornografia alimentare. La produzione del cibo, non ha bisogno di questoIn questo Paese ci si è concentrati su una demagogia di prezzi bassi. Derrate alimentari divenute “commodity”, la raccolta dei pomodori è affidata a forme di schiavismo, 2€ al quintale vale la raccolta. Ridicolo parlare di gastronomia senza vedere l’altra faccia della medaglia. Come non si parla degli effetti del cambiamento climatico. Io vengo dalla Langa; dove c’erano le nocciole, oggi si pianta la vite. E si pianta la vite in Inghilterra. Nella storia millenaria non è mai avvenuto

“Qualcosa si perde e qualcosa si guadagna ma quello che nessuno dice”, continua Petrini, “è che tu hai 100 milioni di ettari di superficie nell’Africa subsahariana destinati a diventare terreno arido. Questo significa che milioni di giovani non hanno prospettive; hanno perso tutti gli armenti E se anche trovassero i soldi per comprarne, non possono più tenerle perché non c’è più l’erba“.

Tra i flussi migratori e il cambiamento climatico e la conseguente mancanza di cibo vi è una stretta connessione. Noi siamo abituati a una politica che si concentra sul fenomeno migratorio e non si rende conto che è il cambiamento climatico che sta cambiando ogni tipo di rapporto. E quindi non si può parlare di cibo senza parlare di ambiente, senza parlare di giustizia sociale, senza parlare di un incremento demografico che mai nella storia ha avuto un tale sviluppo. “Vi do solo un dato. Nell’anno 1000 dopo Cristo la popolazione mondiale era di 400000 abitanti. Nel 1950 2,5 miliardi; ma nei 60 anni che sono passati la popolazione è passata a 2,3 miliardi. Questo ci dice che nel 2050 saremo 10 miliardi, quanto la popolazione di tutta la Storia.”

Gli scienziati parlano di una nuova fase della Storia che chiamano antropocene, una fase in cui i comportamenti umani determinano il cambiamento del clima. Prima non era così. Si pensava che le risorse fossero infinite.

Voi siete testimoni di un movimento che per la prima volta, diciamo così, vive nel tempo digitale. E questo permette che una ragazzina svedese, caparbia, abbia scelto una linea di comportamento e attraverso un messaggio mobiliti in modo rapido decine di milioni di persone.”

E la caratteristica è che questo sia strettamente collegato al futuro. E il loro messaggio non lo lanciano soltanto come uno slogan, lo affermano anche adattandovi i propri stili di vita. “Nelle Langhe, ad Alba, tre istituti superiori hanno deciso di non usare più le bottiglie di plastica. Hanno fatto il calcolo che consumavano 60.000 bottigliette all’anno, 500 kg di plastica. È un’idea costruttiva. Questo movimento ha una caratteristica che la vecchia politica non aveva: pratica nella propria vita quello che decide di testimoniare. Credetemi la credibilità di un politico è quando le sue affermazioni trovano un riscontro nel suo stile di vita”. Come andrà a finire?, si chiede Petrini.

Questo ce lo direte voi. In questo momento questo movimento non è ancora intercettato dalla politica, nessuno fa un plissè. Se non siamo noi ad appropriarci della capacità di influire, determinare i valori che stanno nei Beni comuni continuerà a prevalere il paradigma che è uno solo: fare in modo che questa economia che ha portato a questa situazione continui. Ecco perché i Beni comuni sono quelli che costituiscono il passaggio fa un’economia predatoria e una politica che trova la sua ragion d’essere nella cura dei beni comuni. E non facciamoci prendere dallo sgomento guardando alla politica di oggi. Si sveglierà

Questo è Carlin Petrini, Presidente di Slow Food, che opera in 150 Paesi per promuovere un’alimentazione buona, pulita e giusta.

Ma torniamo ai Beni comuni.

“L’aumento di popolazione, “introduce Laura De Donato, “e quindi il maggior bisogno di cibo, sembrano un argomento a favore di coloro che propongono un maggiore sfruttamento delle risorse. Al contrario la cronaca ci dice che abbiamo avuto un impoverimento delle popolazioni“.

L’ aumento della produttività ha portato alla diminuzione delle risorse. Come in California, ma anche nella pianura Padana. Urge un cambiamento di prospettiva. Il tema è l’uso delle risorse.

Beni comuni ed Ecologia del Diritto sono i temi di cui si occupa, fra altri, il professor Ugo Mattei.

“Il problema del nostro ordine giuridico”, sostiene Mattei, “è quello di essere centrato sul qui e adesso. Il diritto studia i conflitti tra persone viventi in un determinato momento storico; il giudice decide a favore di tizio o di caio in ragione delle circostanze in quel particolare momento, in quel particolare caso specifico”.

Le generazioni future, al contrario, non hanno oggettività giuridica e quindi non possono essere prese in esame nella quotidianità della prassi giuridica. Fabbisogno idrico, l’innalzamento del livello dei mari e tutto quanto ha descritto Petrini fanno prevalere la logica che è pervasiva in tutti noi: la logica del Si salvi chi può, Io speriamo che me la cavo. Decido quali sono i miei bisogni immediati e sviluppo una forma di egoismo competitivo; cioè torniamo all’origine, la competizione per la sopravvivenza.

Purtroppo oggi il diritto tende a incentivare comportamenti di questo genere; un diritto celebrato da una grande ideologia dominante, l’ideologia dell’efficienza e della competizione. Questo regime di conoscenza fondato sul “qui e adesso” produce una impossibilità di inversione di rotta. Quindi un sistema che anziché orientarsi alle generazioni future costituisce una macchina di immobilità.

Di contro, in questi anni abbiamo portato avanti un processo di ecoalfabetizzazione. E succede che una ragazzina sia riuscita a dare un segnale, ha raggiunto veramente milioni di persone, è riuscita a creare un movimento almeno di un certo numero di persone che hanno capito capire cosa veramente stia succedendo.

Noi queste conoscenze le abbiamo almeno dagli anni 50. Nel 1972 il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” del club di Roma, (l’associazione nata a fine anni ’60 per valutare la crescita economica in rapporto alla disponibilità delle risorse) e che allertava sulla non sostenibilità dello sviluppo secondo i criteri attuali, continua Mattei, è stato discusso in tutte le commissioni parlamentari successive, eppure non è successo niente. Il libro del ha venduto 20 milioni di copie è stato tradotto in cento lingue. Nulla. Non ha spostato di un millimetro.

Cioè gli sforzi individuali sono tutti molto importanti. Ma la prassi richiede anche uno sforzo collettivo di organizzazione.

Anche perché il nostro diritto è frutto di una precisa scelta politico-istituzionale realizzata nel tardo Seicento, la cosiddetta modernità. Un momento storico in cui le migliori intelligenze dell’epoca, filosofi giuristi, scienziati si riunirono per risolvere il grande problema. Non c’era tutta la differenza tra le varie discipline che abbiamo oggi: di fronte allo stesso fenomeno oggi abbiamo almeno tre versanti coinvolti: i politologi che si occupano delle leggi, i giuristi che le applicano e poi i sociologi che ne valutano l’applicazione. Affrontare lo stesso fenomeno separatamente secondo varie discipline è un’assurdità.

Bene, c’era in quel periodo storico un grande problema.

L’umanità viveva nella natura. Esistevano grandi ricchezze di beni comuni, foreste, flora, fauna, ma non c’era il capitale, non c’era la capacità di utilizzare questi beni comuni per realizzare e porre in essere iniziative al di là della semplice sussistenza. Cioè a passare dal valore d’uso al valore di scambio. A trasformare la risorsa naturale in qualche cosa che potesse essere trasferita. Occorrevano università, sforzi collettivi.

Allora questo grande sforzo di trasformazione di beni comuni in capitale è avvenuto chiamando a raccolta il meglio di quella intellighenzia e costruendo istituzioni potentissime. A quello scopo nasce una teoria dello Stato (la concentrazione del potere pubblico all’interno dello Stato sovrano) una teoria del contratto (trasferimento di valore da una parte a un’altra).  E una teoria per cui solo le azioni colpose comportano l’obbligo al risarcimento.

E soprattutto nasce la società di capitali cioè la costituzione del capitale in una forma personificata, trattata come un soggetto, come uno di noi. E, una delle cose che non si dicono mai, la persona giuridica è immortale; è lo strumento che potrà per sempre accumulare beni comuni per trasformarlo in capitale e accumulare.

L’accumulazione di beni comuni è diventata drammatica dalla fine degli anni 80, quando le persone giuridiche sono diventate molto più forti delle istituzioni pubbliche, per cui il consiglio di amministrazione di Google o Amazon hanno molto molto più potere delle istituzioni pubbliche. Non solo: la quantità e la varietà dei beni comuni è diventata così grande che ci sono oggi beni comuni che neanche si pensava che potessero essere tali.  L’amicizia, che era fuori da ogni considerazione di scambio, oggi viene mercificata con Facebook. O si pensi alle conoscenze sul nostro corpo, al DNA.

Oggi abbiamo capitali in maniera spaventosa e non abbiamo più beni comuni. Eppure continuiamo con le identiche istituzioni. Oggi nel diritto privato e nel diritto costituzionale ti raccontano ancora le stesse cose che si raccontavano nel 700. (un tema già affrontato nel nostro giornale, https://www.vicini.to.it/vicini/2019/04/mare-privato-lo-scempio-delle-coste-italiane/)

Come se ne esce?

Già nel 2007 e poi con un referendum nel 2009, ci si era posto il problema che alcuni beni comuni come l’acqua, le foreste, i ghiacciai, i beni culturali non possono essere sottoposti alla logica del mercato e del profitto e degli interessi, ma devono essere governati nell’interesse delle generazioni future siano essi proprietà privata o proprietà pubblica. L’esito del referendum, in cui i cittadini avevano ribadito la volontà che i principali beni comuni restassero pubblici, avrebbe dovuto far sì che coloro che si occupano di questi temi si ponessero il quesito: Come possiamo costruire istituzioni buone, pulite, e giuste per governare i beni comuni?

Di fronte a questo problema, non è questione di questo o quel politico, di questo di quello schieramento; è un problema culturale che si lega agli interessi delle grandi società che hanno che hanno come logica il profitto. Logiche che non possono cambiare perché qualsiasi politico che provasse a contrapporsi ad essa semplicemente non verrebbe rieletto: non è quindi un tema di destra o di sinistra ma un tema costituente. Cioè, come si possono creare delle regole che non siano di destra né di sinistra ma che riguardino i comportamenti di ciascun attore.

Noi stiamo insegnando, conclude Mattei, regole del gioco che sono come la favola di Babbo Natale: che la sovranità appartiene al popolo, che il Parlamento è sovrano, che c’è la separazione dei poteri. E poi bocciamo gli studenti del primo anno perché non conoscono queste regole. E’ come bocciare qualcuno perché non crede a Babbo Natale.

Questo movimento Friday for Future, sostiene Mattei, non può rimanere nella sua forma originale di movimento destrutturato. Il presupposto per costruire condizioni di permanenza è trovare una sua forma istituzionale all’interno di regole del gioco fondative nuove.

In conclusione un appello di Carlin Petrini: noi oggi produciamo cibo per 12 miliardi di persone ma il 35% viene buttato. Quindi il primo campo da arare non è tanto altra superficie da destinare alle coltivazioni, ma ridurre il cibo sprecato. Dalla politica non si può pretendere questo, ma partendo dal nostro specifico è possibile ridurre lo spreco e così anche le emissioni di CO2.

Infine, si vede oggi l’opportunità per i giovani per ritornare alla terra, per essere rigeneratori, impresari di se stessi dentro una realtà locale territoriale.

Facciamo un esperimento, ma non barate: quanti di voi, nella propria prospettiva di vita, vogliono essere contadini, anche se contadini del 21° secolo?

Alzano la mano in 4, 4 su 500 o 600.

Bravi, voi siete i miei eroi. Ma voi, tutti gli altri, voi non penserete mica che questi 4 daranno da mangiare a tutti?

Il professor Mattei è da tempo attivo nell’impegno per far diventare legge dello Stato una disciplina per l’uso dei beni comuni nel rispetto delle generazioni future. Suoi lavori recenti:

-Ugo Mattei e Fritjof Capra, Ecologia del Diritto, Sansepolcro, Aboca, 2017.

-Ugo Mattei e Alessandra Quarta, Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni, Sansepolcro, Aboca, 2018.

 

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

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