Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Ma davvero vuoi fare il giornalista?

Questa domanda provocatoria è attinta dalle parole di Daniele Cerrato (ex presidente della Fondazione Murialdi) durante l’intervento Il futuro del giornalismo al Salone Internazionale del Libro, al quale hanno partecipato Carlo Verna (presidente dell’Ordine dei Giornalisti), Vittorio Roidi (presidente della Fondazione Murialdi), Alberto Sinigaglia (presidente dell’Ordine Regionale dei Giornalisti) e Bernardo Valli (giornalista e inviato di guerra).

Cerrato dice: “Uno dei gabinetti alla Fondazione Murialdi l’abbiamo intitolato “Ma davvero vuoi fare il giornalista?”. Molti ragazzi sono venuti a chiederci cosa fare per diventare giornalista. Ora la risposta è molto complicata: ragazzi anche ben laureati sono pagati 2/3 euro ad articolo”. Questa è la situazione attuale, lo sfruttamento c’è un po’ ovunque ed è appurato, come lo è d’altronde il fatto che questo possa portare i giovani a disamorarsi della professione o ad adattarsi pensando “più fai meglio è” e di conseguenza tralasciando la professionalità.

Per capire dove possiamo arrivare e quale strada intraprendere, è fondamentale conoscere da dove siamo partiti; a tal proposito riportiamo le parole di uno dei grandi giornalisti del ‘900 italiano, Bernardo Valli, il quale con la sua pluridecennale esperienza sul campo ci offre un excursus delle varie tappe attraverso cui è passata l’informazione giornalistica: telegrafo, telx, cellulare fino ad arrivare ad internet. Significativo il suo racconto di come era concretamente “fare il giornalista” ai suoi tempi e dei problemi che si potevano incontrare: “La guerra del Vietnam è stata “coperta” come si dice nel gergo, per telex: andavamo da un filippino che era in uno sgabuzzino e batteva sul telex. Io mancai uno dei momenti più importanti di quella guerra, cioè la partenza degli americani, il momento di vuoto prima che i vietnamiti del sud assumessero l’intera responsabilità della guerra. Quel giorno feci un articolo andando a vedere un campo vietcong (non sapevo fossero sotto terra in un villaggio in cui passavo sempre con l’automobile), ma questo non arrivò in tempo perché c’era una tempesta sul golfo del Bengala nell’ora cruciale in cui il mio articolo doveva arrivare al “Corriere della Sera” e quindi la trasmissione fu interrotta. Il mio collega della Stampa invece lo mandò quando non c’era ancora la tempesta e quindi ebbe l’esclusiva”.

Problemi impensabili ora che si è costantemente connessi e le notizie viaggiano alla velocità della luce, come dice Carlo Verna: “Il giornalista ha perso l’esclusiva di informare le persone, chiunque, anche non qualificato, può dare notizie; la cosa spaventosa è la velocità delle notizie. Negli Stati Uniti si dice: “slow news, no news” ma bisogna fare attenzione perché ora la velocità è fin troppa”. Verna riporta le parole pronunciate dell’ex politico Guido Bodrato durante un intervento al Salone Internazionale del Libro: “Oggi si sa tutto di tutto ma non ci si ferma un attimo a riflettere”. Quest’affermazione inquadra bene la situazione attuale ma c’è da chiedersi come mai le persone si accontentino di notizie prese da internet chissà da quale fonte; come dice Alberto Sinigaglia: “Molte persone si informano su internet se hanno un malanno, un raffreddore, ma nel momento in cui devono assumere un farmaco vanno dal dottore; questo non avviene per le notizie: si informano su internet e credono di avere in tasca la verità rivelata, ma così non è. Dobbiamo far tornare il giornalismo ad essere quell’inevitabile maniglia a cui aggrapparsi per discernere il vero dal falso”.
Come mai sempre meno persone comprano il giornale in edicola? E’ sicuramente più comodo stare a casa e cercare su internet, ma se il giornale desse qualcosa in più rispetto a una notizia “asciutta” trovata su un sito web, le persone lo comprerebbero?

Dice Vittorio Roidi: “Al salone del libro si assiste al trionfo della carta, ma come mai il libro trionfa mentre il giornale no? Oggi non è il giornalismo che rischia di morire ma le aziende giornalistiche. C’è un grandissimo bisogno di informazione e di giornalisti, serve la verità alla democrazia e nel mare di informazioni errate che ci sono servono i giornalisti. La strada del giornalismo dovrà essere la qualità. Che cosa oggi la gente è disposta a pagare? Sono gli editori che devono trovare delle forme per rendere appetibili le notizie”.
Ma qual è la “nuova strada del giornalismo”? Bernardo Valli dice: “Anche il tipo di informazione, oltre che il modo in cui trasmetterla è cambiato: si hanno notizie asciutte che non portano con sé un’analisi. Il giornale se vuole sopravvivere deve fare l’analisi della notizia: non basta dire che in un determinato paese c’è la rivoluzione, bisogna spiegare cos’è la rivoluzione”.

Sarà questa dunque la nuova strada del giornalismo?
Si capisce che è un problema che deve essere risolto alla radice: bisogna scardinare l’abitudine delle persone all’immediata fruizione delle notizie; i giornalisti ci sono, molti sono guidati da una deontologia professionale seria, ma siamo sicuri che le persone vogliano questo? Che siano disposte a perdere del “tempo prezioso” scendendo di casa per andare a comprare il giornale e leggere una notizia scritta come si deve, un po’ più lunga forse, ma che oltre l’informazione dia il piacere di essere letta?

Per dare ai giovani giornalisti la possibilità che altrimenti non troverebbero altrove, di fare un reportage “alla vecchia maniera” è stato istituito il Premio Mimmo Càndito per un Giornalismo a Testa Alta, presentato al Salone Internazionale del Libro. Questa iniziativa premia il miglior progetto di reportage finanziandolo fino a 3000 euro. Per informazioni: https://www.premiomimmocandito.org/

Chiara

chiaral@vicini.to.it

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