Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Non ascoltateli per l’età!

Foto Chiara Minelli

The Minis è una giovanissima band torinese nata nel 2015, formata dai due figli d’arte Julian Loggia (basso e voce) e Zak Loggia (chitarra e voce) e da Mattia Fratucelli (batteria), tre ragazzi che guardano a gruppi come Blur, Oasis, The Who, The Specials, The Jam, The Strypes, Rolling Stones, The Kinks e The Stripes.

La Mini (la macchina) è un simbolo di culto nell’Inghilterra del britpop, il loro genere musicale di riferimento, un sottogenere che si è sviluppato negli anni Novanta dal rock indipendente britannico del decennio precedente.

Foto: Franco Rodi

Dopo qualche necessaria esperienza (perlopiù concerti nel circondario di Torino) e alcuni primi video di cover live pubblicati sul loro canale Youtube, i The Minis iniziano ad attirare qualche addetto ai lavori e a dividere il palco con artisti come Subsonica, Caparezza, Baustelle (con cui evidentemente c’è un legame speciale, basta ascoltare Lucio e Caligola), Linea 77, Statuto (band di Alex Loggia), Africa Unite e tanti altri. Poi una serie di soddisfazioni a catena: grandi festival italiani (Apolide Festival, Siren Festival, Stupinigi Sonic Park, Home Festival e Giffoni Film Festival,), il primo album di inediti, il primo singolo (Il fiato sul collo) e poi il secondo (Sale nel caffè).

Senza paura è l’album di debutto della band, dieci brani originali incisi per la storica etichetta milanese Cramps Records, di cui sono chiamati a rappresentare il restyling, primi in assoluto insieme a Massaroni Pianoforti.

Una scrittura che affonda le proprie radici nel mondo brit anglosassone e che riesce a combinare felicemente un sound elettronico al dispiegarsi degli archi in accompagnamento (compagni di liceo di Zak?).

Grido di battaglia della band, Senza paura è un invito rivolto alle band di giovanissimi: meno candeline sulla torta vuol dire anche meno paura dei live e delle registrazioni e invece più vita, più voglia di mettersi in gioco, di sognare e di realizzarsi.

I testi, ideati insieme allo scrittore Fabio Geda, raccontano le problematiche generazionali e adolescenziali in generale da un punto di vista sempre interno alle vicende, senza distacco o superiorità, senza affissioni pubblicitarie e, soprattutto, senza parole a caso buttate qua e là tipo Pollicino per “impreziosire” la trama del discorso. Certo che, nell’epoca del mumble rap (magari fosse trap), professarsi amanti del brit vuol dire raccogliere mille punti (non per un sapore vintage, ma per qualità e basta).

Matteo Gentile

matteog@vicini.to.it

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