Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Sette album italiani per una settimana di quarantena

#musicasuldivano

«La musica è un linguaggio universale: parla ad ogni uomo, è diritto naturale di noi tutti. Un tempo era soprattutto prerogativa di classi privilegiate in centri culturali, ma oggi, con la radio e i dischi, essa penetra nell’intimo delle nostre case, a qualsiasi distanza possano vivere dai centri culturali. A ciò si doveva arrivare perché la musica parla a ogni uomo, a ogni donna, a ogni bambino, a potenti e umili, ricchi e poveri, felici e infelici, a tutti coloro che sono sensibili al suo profondo e potente messaggio»: così scriveva L. Stokowski ne La musica per tutti. E allora quale scelta migliore, per questo periodo di quarantena, di ascoltare almeno un’ora di buona musica al giorno? Per i miei consigli di questa settimana, sette notevoli album tutti italiani.

Edoardo Bennato, Non farti cadere le braccia (1973) 

A Bennato occorsero nove anni di gavetta prima di ottenere un contratto discografico: gli sembrava di aver finalmente raccolto canzoni forti e d’impatto (Un giorno credi, Rinnegato, Campi Flegrei) ed era consapevole di aver lavorato con grandi professionisti (l’arrangiatore era Roberto de Simone, cui spettò l’ingrato compito di far suonare ritmicamente delle orchestrazioni sinfoniche alla Madman across the water); e invece fu un assordante silenzio da parte di tutti i media. Giochi finiti, licenziamento, contratto chiuso: e così, di quel disco che oggi riconosciamo invece come un esordio leggendario e senza tempo, non rimasero che poche copie sugli scaffali.

Paolo Conte, Paris milonga (1981)

Un album, il quarto di Conte, che persevera nella strada del jazz e dello swing e la unisce alla tradizione sudamericana: Alle prese con una verde milonga omaggia l’ultimo rappresentante della milonga in terra argentina, Atahualpa Yupanqui. L’opera sancisce l’affermazione del cantautore astigiano anche all’estero, soprattutto grazie alla commovente e disillusa Via con me (che infatti inciderà ancora molte altre volte). Conte cura gli arrangiamenti, canta e suona pianoforte, vibrafono e sintetizzatori, affidando la direzione orchestrale a Pino Calì; i brani Via con me e Pretend sono stati registrati peraltro al Format di Torino, di proprietà di Happy Ruggiero.

Franco Battiato, La voce del padrone (1981)

L’era del cinghiale bianco (1979), Patriots (1980) e soprattutto La voce del padrone (1981): una trilogia pop con la quale Battiato ritornò alle sue radici (la musica melodica italiana) abbandonando per un momento i più maldestri tentativi avanguardistici. L’opera fu il primissimo LP a superare il milione di copie vendute in Italia e consacrò per sempre la fama dell’artista siciliano, anche grazie all’impiego di argute sonorità punk rock e new wave, rese finalmente accessibili ai più in un riuscitissimo tentativo di democratizzazione (che però Battiato tradirà dopo appena un lustro). Citazioni cross-mediali e coltissime si avvicendano senza tregua; notevole l’apporto dei melismi di Giuni Russo e del quintetto vocale I Madrigalisti di Milano.

CCCP – Fedeli alla linea, Affinità – divergenze fra il compagno Togliatti e noi (1985) –

Opera che da subito s’impose come uno dei capolavori del rock europeo: le varie fonti ispiratrici del complesso (il punk americano, il cantautorato italiano, la musica industriale europea e la dark britannica) si sublimano in uno stile assolutamente personale nel quale una batteria elettronica spartana, un basso indolente e una chitarra gracchiante forniscono l’accompagnamento perfetto per le illuminazioni visionarie di Ferretti. Vero protagonista del disco, questi si dimostra il primo cantante italiano in grado di adattare la propria lingua alle esigenze ritmiche e armoniche della musica rockEmilia paranoica si pone come il capolavoro dei CCCP, oltre che come uno dei vertici assoluti della musica rock italiana di tutti i tempi.

Afterhours, Hai paura del buio? (1997)

Ormai armati di tante idee e di un’incondizionata voglia di osare, gli Afterhours confezionano 19 tracce travolgenti siglando una delle massime opere musicali italiane del decennio: un’autentica rivelazione, un viaggio allucinato nei meandri del turbamento, della paura e della maledizione di una realtà ostile, un disco di eccessi, un’orgia musicale in cui il pop più edulcorato copula con stralci di hardcore infuriato senza il minimo pudore; i testi sfoggiano un italiano personale, lucido, ricco di immagini surreali e poetiche ma anche crude e realistiche. 1.9.9.6. è un lungimirante presagio sulla controcultura giovanile italiana di fine decennio; ne esiste anche una versione cantata da Bennato, contenuta nel doppio album (https://www.youtube.com/watch?v=NTgiInPCOgY).

Morgan, Canzoni dell’appartamento (2003) 

Straordinario e credibilissimo esordio solistico di Morgan, dedicato a Mario Castoldi (il padre suicida) e praticamente auto-prodotto. La copertina presenta una vecchia stampa dell’architetto Ezio Cerruti raffigurante alcune case popolari di Porta Ticinese (zona a centro-sud di Milano) e una bizzarra sententia: «Le case popolari costruite negli anni Cinquanta risentono di una revisione generale del concetto di abitazione economica. Dall’edilizia popolare si passa a quella civile, e alla realizzazione dei primi quartieri autosufficienti, i quali sorgono con sovvenzioni pubbliche». Album ruffiano ma mai barocco, sa colpire già dall’attacco di Altrove, che affianca la ritmica di Stand by me ad un raffinatissimo arrangiamento per archi; notevole anche la cover della misconosciuta Non arrossire di Gaber.

Afterhours, Ballate per piccole iene (2005)

C’è chi per scrivere canzoni queste ci impiega una carriera, gli Afterhours ne hanno scritte dieci in un colpo solo, delle quali almeno tre fra le più belle della propria discografia (Carne frescaBallata per la mia piccola iena e La sottile linea bianca). Quest’opera non è solo un tassello nel panorama indie rock nostrano, è anche lo stato dell’arte nell’anno di grazia 2005: una dolcissima carezza e un montante in pieno mento, che delinea uno scenario apocalittico in cui i protagonisti si trovano disillusi e condannati, nel migliore dei casi, a vivere in un piccolo mondo in cui anche il sole sorge “solo se conviene” (una cupa quarantena, sì, ma esistenziale). Per avere indietro la propria vita si può unicamente scendere a compromessi, tradire, assumersi i propri rischi con i “cento demoni” che giocano con noi e imparare a barare per sembrare più veri, raddoppiando così la propria miseria.

«Ma c’era un male in lei che non si cura mai, né coi baci né con la cocaina; senza lacrime, senza regole: è soltanto male in polvere» (Afterhours, Male in polvere). Buon ascolto!

Matteo Gentile

matteog@vicini.to.it

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