Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

CineAmbiente 2020: Intervista a Gaetano Capizzi

Ha fatto in tempo a svolgersi – pur se in forma ridotta e spostata dalla tarda primavera all’autunno – l’edizione 2020 di CinemAmbiente che con l‘ultimo  Dpcm  del Governo si è abbattuta la scure  dei provvedimenti anti-Covid, che sospendono gli spettacoli  in sale teatrali, sale da concerto,  cinema. Ma Gaetano Capizzi, il fondatore di CinemAmbiente, continua a pensare che la sopravvivenza sulla Terra ce la stiamo giocando, più che per il Covid-19, a causa del riscaldamento climatico:  è urgente un cambio di paradigma sociale e produttivo,  la transizione ecologica ed energetica deve diventare il progetto economico, sociale e culturale di ogni Paese. Un nuovo appello è stato lanciato dal film di apertura dell’edizione 2020 del festival, Rebuilding Paradise, il documentario di  Ron Howard sul dramma degli incendi che colpiscono la California a causa delle condizioni di aridità legate ai cambiamenti climatici. La consapevolezza dei cittadini di Paradise della necessità di azioni a salvaguardia dell’ecosistema è analoga a quella testimoniata –  tra gli altri – dal corto Ragazzi irresponsabili: i giovani italiani dei Fridays For Future, sono stati seguiti di piazza in piazza nei loro scioperi  contro il riscaldamento globale. Non si tratta di movimenti rivoluzionari, precisa Capizzi, raccolgono istanze che vengono dalle Nazioni Unite e da molti scienziati del mondo. E abbiamo poco tempo.

 Capizzi, quand’è nato CinemAmbiente?

La prima edizione  è del ’98, a un decennio circa dalla tragedia di Cernobyl abbiamo programmato una rassegna sul cinema nucleare. E’ stata una manifestazione riuscita e il Comune di Torino ci ha proposto di organizzare un festival che affrontasse i temi ambientali. Abbiamo accettato questa sfida, pur non avendo punti di  riferimento: allora esistevano rassegne con film sul rapporto uomo-natura in cui l’ambiente era presentato come il contesto abitativo delle diverse specie vegetali e animali, non con un taglio ecologico. E 25 anni fa parlare di emergenza climatica significava esser presi per matti

Poi c’è stato un cambiamento culturale.

Nel giro di qualche anno  i problemi ambientali,  prima solo ipotizzati, erano sotto gli occhi di tutti,  i movimenti ambientalisti realizzavano documentari su loro manifestazioni o iniziative: ad esempio quelle di Greenpeace, che ha sempre investito sulla comunicazione, con campagne mediatiche che avvaloravano visivamente le loro imprese per  stimolare il dibattito.  Ci sono stati, quindi,  un cambiamento di mentalità  e una diffusa presa di coscienza, il cui indicatore numero uno è la pubblicità: le strategie di “green marketing”, hanno puntato sempre di più a  conquistare l’attenzione del consumatore attraverso le  qualità “eco” o ”bio” dei prodotti. Quest’ondata  ha stimolato anche le espressioni artistiche:  sono comparsi documentari, realizzati da autori di valore e  apertamente schierati, i temi ambientalisti hanno pervaso tutte le forme cinematografiche, anche la fiction. E  da subito CinemAmbiente è stato riconosciuto da produttori e registi come luogo d’elezione in cui presentare i propri lavori.

Possiamo, quindi,  definirvi uno dei primati torinesi.

Sì, siamo i più longevi; inoltre abbiamo fondato il Green Film Network, un’associazione internazionale da noi coordinata e che riunisce oltre 40 Festival cinematografici ambientali,  tutti nati 10-15 anni dopo di noi in Paesi che vanno dalla Corea del Sud a Rio de Janeiro, a Washington. Abbiamo un protocollo di Intesa con l’Onu a sostegno e sviluppo dei film a tematica ambientale nel mondo. Stiamo lavorando per l’attivazione di analoghe manifestazioni in Kosovo, in Marocco. La sede di Green Film Network si trova a Torino.

Com’è andato  CinemAmbiente 2020?

Tenuto conto della situazione contingente, siamo riusciti a fare una buona manifestazione con attenzione maniacale alla sicurezza, con forte riduzione delle presenze, tenendo conto che una sala da 150 posti veniva occupata da 50 persone al massimo. I giorni sono passati da 6 a 4, con un taglio sul numero di film presentati, che era il distillato della produzione migliore recente. E’ stata un’edizione speciale, anomala: senza l’atmosfera consueta di affollamento, le discussioni di gruppo è stato tutto molto asettico. La parte online è andata molto bene, i film  proposti  sulla piattaforma di MYmovies, sono stati seguiti da videoconferenze in diretta, con quasi tutti i registi collegati  in streaming  e disponibili al dibattito con il pubblico.

 Pensate di replicare la formula dei collegamenti  in streaming?

 E’ una modalità che vorremmo mantenere:  l’aspetto positivo del lockdown è stata l’accelerazione dei modi di fruizione del cinema e degli eventi pubblici. La rassegna in streaming ha avuto oltre 100 000 spettatori, 500 articoli sulla stampa hanno valorizzato questa formula,  anche se vorremmo ripristinare  le presenze dal vivo, perchè una delle dimensioni del festival è quella dell’incontro, dello scambio, attraverso il quale creare comunità e progetti.

 Qual è stato il contributo più rilevante del festival a questo momento?

Ha riportato il tema della sostenibilità al centro del dibattito, messo ultimamente in ombra dal pericolo più immediato rappresentato dal Covid 19, che ha fermato  molte delle azioni che si stavano facendo a favore dell’ambiente. Noi abbiamo voluto riportare questi temi all’attenzione generale, anche perché alla pandemia  mondiale si sta cercando di dare una soluzione (attraverso gli studi sul vaccino, misure come il lockdown); al  disastro ambientale non puoi rispondere chiudendoti in casa o con un vaccino: i cambiamenti climatici  sconvolgono i paesi, erodono il territorio, producono desertificazione, costringono a  migrare milioni di persone. Sono molto più impattanti del Covid.

Quali sono i vostri progetti futuri?

Dovrebbe ripartire CinemAmbiente junior, il Concorso di film a tematica ambientale, della durata massima di dieci minuti, realizzati dagli studenti italiani, magari riproposto in streaming nell’eventualità di una ripresa della didattica a distanza, ma nell’auspicio che l’edizione 2021 del festival possa tenersi in presenza e – come di consueto –  nella prima settimana di giugno

Quale tra i film  presentati ha rispecchiato questo momento particolare che stiamo vivendo, sospesi tra paura e speranza?

Nell’edizione di quest’anno del Festival si è andati alla radice del problema, lanciando un allarme sui rischi causati dalla riduzione della biodiversità, dall’inquinamento, dalla produzione di Co2, e che bisogna agire immediatamente. Particolarmente efficaci The Troublemaker sull’attività del movimento ambientalista Extionction Rebellion, che ad aprile 2019  ha animato  Londra per dieci giorni  con azioni di disobbedienza civile per chiedere  al governo di impegnarsi in un’economia a emissioni zero, e il film di chiusura, The Great Green Wall, che racconta la costruzione al confine Sud del deserto del Sahara di una “barriera verde”, costituita da una vasta area di specie vegetali e alberi che va a ricoprire l’Africa da parte a parte, per fermare la desertificazione nel Sahel. Grandi problemi richiedono grandi risposte, guardando al futuro in maniera fattiva, con energia e  speranza, che sono anche le linee direttrici di CinemAmbiente.

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

 

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