“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

E verrà un altro l’inverno, di Massimo Carlotto

Massimo Carlotto, la penna che ha dato vita alla nota serie letteraria dell’Alligatore recentemente presentata anche in versione televisiva, torna in libreria per Rizzoli con la sua ultima fatica, un noir che è una storia di provincia, una storia di appartenenze e di corruzioni, costruita con un particolare registro di narrazione che solo la sapiente esperienza letteraria dell’autore poteva realizzare così felicemente, così da offrirci una lettura delineata in un armonioso equilibrio di elementi.

Nei suoi romanzi Carlotto fa trasparire spesso un’analisi sociologica dei contesti che descrive e in cui si svolge la vicenda, tanto che Goffredo Fofi lo ha recentemente definito una sorta di “sociologo narrativo”. Nelle sue pagine vi è, infatti, la narrazione di una realtà ruspante e genuina, a volte descritta in termini spregiudicati, se vogliamo, spogliati di veli edulcoranti, frutto di uno studio e di una profonda osservazione dei meccanismi che regolano le relazioni, i fragili equilibri che si innescano tra ceti sociali differenti. E anche in questo libro Massimo Carlotto non ci delude, rinnovando questi suoi tratti caratteristici.

All’inizio, al centro della storia troviamo una coppia: Bruno Manera e Federica Pesenti. Lui, vedovo cinquantenne ricco e perbene, sposa Federica, di quindici anni più giovane, e per amore lascia la città, i suoi amici e gli svaghi, le abitudini, le opportunità che un grande centro abitato offrono, per trasferirsi nel luogo dove lei è nata e cresciuta, un paese della valle. La valle è un tratto costantemente presente nel libro, non è solo un paesaggio che sta sullo sfondo della storia, ma assurge quasi a ruolo di interprete, un personaggio della vicenda.

Una valle chiusa, tra i paesi lungo una provinciale intasata dai tir e disseminata di fabbriche. Qui dominano i maggiorenti, élite di capitani d’industria che hanno contribuito fortemente a costruire l’ordine del duro lavoro per i tanti concittadini, col profitto per pochi e le menzogne per tutti.

Trasferendosi in valle, in un piccolo paese montano, Manera varca il confine della provincia invisibile, della provincia profonda, incontrando contrasti e resistente che faranno della sua vita un incubo, subendo atti intimidatori sempre più gravi, fino a diventare veri atti di aggressione.

Il paese lo abbandona, in fondo lui è lo straniero, uno di fuori che non appartiene alla comunità, non sollecita quel senso di solidarietà e quel sostegno tipico della cultura contadina “della valle”, che antepone sempre il gruppo alle esigenze del singolo individuo. L’unica persona che sembra disposta ad aiutarlo è una guardia giurata, dalla vita solitaria e sfortunata, convinta che certe faccende vadano risolte solo tra paesani, senza sollevare un eccessivo clamore.

Il potere economico, in parte, è al centro di tutto questo. Potere inteso non solo come denaro, ma fatto soprattutto di reputazione e apparenza.

Ciò che Carlotto ci racconta nel libro è il meccanismo criminale che può nascere all’interno di un nucleo, di persone cosiddette “perbene”, quelle che si percepiscono sempre “perbene”, anche quando siedono sul banco degli imputati, continuando a sostenere di essere tali nonostante tutto, osservanti e conformi alle norme dell’onestà e della rettitudine.

In questo contesto la questione dell’apparire è estremamente importante, dove basta una diceria o anche solo un sospetto per distruggere una persona. I pettegolezzi, come pure le relazioni tra le persone, sono tutti molto misurati. Ci vuole cautela nell’evitare conflitti e contrasti, col rischio di subire poi ritorsioni, sgarbi o torti: in questo mondo, soprattutto i maggiorenti devono prestare più attenzione degli altri, perché il potere va espresso in tutti i modi e non si può sbagliare: la reputazione è tutto.

Il tempo in questo luogo sembra davvero essersi fermato. L’autore, nel suo raccontarci l’evolversi della storia, sembra riportarci all’epoca del boom economico, agli anni ’60, in un mondo di apparenze e di abiti di reputazione che non è mai scomparso, ancora molto presente nelle sue dinamiche sociali, nelle differenze tra città e campagna, tra città e provincia e tra provincia e provincia. Realtà molto moderne, efficienti dal punto di vista industriale e della produzione, ma poi impoverite sul piano culturale, basate su meccanismi artefatti e fragili, anche nella costruzione di relazioni sociali.

Carlotto, convinto – come lui stesso dice – che la provincia in Italia non sia tutta uguale, sceglie l’ambientazione del Nord-Est non a caso: composta da valli che un tempo erano dedite all’agricoltura e all’allevamento ora sono ridotte a distretti industriali, con un passaggio da un sistema ad un altro che spesso si è rivelato traumatico. Ma ciò che è rimasto inalterato è il potere dei maggiorenti, che prima possedevano i campi e le bestie, mentre ora sono capitani di industria.

Questa evoluzione ha tramandato delle convenzioni sociali e delle relazioni ottocentesche che, nonostante la modernità in cui viviamo, continuano a permanere. Bruno Manera, protagonista e vittima della vicenda, che ignora tutto questo, segue la giovane moglie Federica Pesenti, andando ad abitare in una realtà dove scopre di essere un forestiero e che lo sarà per sempre. Perché tutti quelli che arrivano da fuori lo sono.

Con questa storia Carlotto torna a parlarci della realtà sociale del Nord-Est a lui tanto cara e che spesso ritorna nei suoi libri, con una lente di ingrandimento sulle comunità sviluppate nei piccoli centri, mettendo in risalto le loro contraddizioni e i loro limiti.

Un noir atipico, con un delitto ma senza commissari, senza alcun vicequestore o investigatore privato che indaghi e ci stupisca con la lucidità del suo ragionamento. Qui, nel segno della fatalità, viene sovvertita la logica del poliziesco a cui solitamente siamo abituati, mostrando la ferocia inconfessabile della brava gente, con effluvi che inchiodano il lettore all’enigma dalla prima all’ultima sorprendente pagina, enigma che nessuna indagine potrà mai risolvere, il mistero di chi siamo davvero.

Il caso è solitamente negato dal romanzo poliziesco, anche se fa parte della realtà, delle esistenze, anche nel miglior piano criminale. Carlotto costruisce in questo romanzo un meccanismo di trappole e contro-trappole, per cui chi ordisce una trappola finisce per rimanere vittima, chi crede di essere astuto e di aver beffato gli altri, rimane vittima di un meccanismo ulteriore. Un registro tipico della narrazione dell’autore, ma che qui emerge prepotentemente in modo impressionante.

 

Loredana Pilati

loredanap@vicini.to.it

 

 

 

 

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