
Ha chiuso CinemAmbiente l’ultima opera del regista anglo-indiano, tra i nomi più interessanti della scena contemporanea. Protagonista di una retrospettiva al Massimo dall’11 al 15 giugno, dopo gli esordi nel cinema di finzione con titoli come The Warrior e Far North e numerosi corti, da oltre quindici anni Asif Kapadia si è affermato a livello internazionale grazie ai documentari realizzati con materiali d’archivio. Tra i suoi lavori più celebri: Senna, Amy (premio Oscar) e Diego Maradona, tre ritratti intensi e profondamente umani di icone del nostro tempo. 2073 avverte su quale destino aspetta il nostro pianeta in un futuro prossimo, date le attuali, allarmanti premesse, tra riaffermazione di modelli politici autoritari, crisi ambientale, pervasività della tecnologia. Mescolando finzione, video di repertorio e inchiesta giornalistica, il docufilm ha la forza di un cinema che punta a produrre uno shock e smuovere le coscienze. In sala il 16, 17 e 18 giugno. Da non perdere.
Kapadia, quando il cinema è entrato nella sua vita?
Il mio ingresso nel cinema è stato piuttosto casuale. Avevo studiato arte e design, e mi sono trovato collaborare a un film, scoprendo il ‘circo del cinema’. Ho iniziato sul set e, in seguito, sono passato alla sala di montaggio. C’è stato un periodo in cui sognavo di essere un Herzog alla Fitzcarraldo, attraverso produzioni sfidanti. In realtà, il mio vero amore è per lo storytelling, per la narrazione, e per i viaggi, specialmente quelli che mi portano in luoghi estremi.
Senna, Amy e Diego Maradona. Come nasce l’approccio al cinema del reale?
Ho sempre amato lo sport, la mia passione per i documentari sportivi è nata da lì, diventando una vera e propria ossessione e un modo per giocare con la forma del film, per spingersi oltre le regole tradizionali. Il mio background da scrittore mi ha sicuramente aiutato in questo; le vite di Senna e Maradona, personaggi carismatici, anche se tragici, hanno offerto spunti narrativi incredibili. Amy rappresenta una versione autentica dell’artista, un ritratto visivamente straordinario con un fortissimo impatto emotivo. Attraverso il girato d’archivio ho cercato di rivelare la verità, facendo della sua vita un racconto onesto, e mi sono domandato: perché nessuno ha fatto niente per aiutarla? Il potere di questo tipo di film sta anche nel cambiare la prospettiva su un personaggio, nel mostrarne la fragilità e l’umanità.
Cosa ha ispirato il docufilm 2073?
L’idea è nata tempo fa. Guardando cosa stava accadendo nel Regno Unito con la Brexit, mi colpiva il modo in cui la politica e i media manipolavano l’opinione pubblica. Mi sono spostato negli Stati Uniti e mi sono trovato nel mezzo della campagna per le politiche del 2016: dietro Trump c’era una retorica simile a quella usata durante la Brexit, si parlava di democrazia, ma nei fatti la stavamo già mettendo a rischio. Durante il lockdown del 2020, mentre ero chiuso in casa, ho osservato i cambiamenti nel linguaggio politico e nel comportamento collettivo. Dopo la pandemia, mi ha colpito molto il senso di smarrimento delle nuove generazioni: avevano la sensazione che fosse successo troppo, tutto insieme. Quando Trump ha vinto di nuovo, molti sono rimasti sorpresi: eppure segnali c’erano, ma non li hanno voluti vedere.
Anna SCOTTON
annas@vicini.to.it
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