Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Paolo Pagliaro a Leggermente. “Cinque domande sull’Italia”

I dilemmi di un Paese inquieto

Il progetto Leggermente il 9 scorso ha ospitato in Cascina Roccafranca Paolo Pagliaro, storico collaboratore del programma di Lilli Gruber “8 e mezzo” su La7. “Occasione per dare un volto ad una voce nota” suggerisce l’intervistatore, Mauro Marinari che ritorna nel progetto al termine del suo mandato come capo di gabinetto del Comune di Torino.

Il saggio “Cinque domande sull’Italia” raccoglie gli appunti di 15 anni di lavoro: dati, analisi, riflessioni. Fatti che meritavano di diventare notizie. Pagliaro riassume le cinque domande e lo fa leggendo gli appunti: “sono abituato a scrivere quello che ho da dire”.

Viviamo in un mondo sospeso, bloccato.

Un’indagine della Banca d’Italia ha confrontato i nomi delle famiglie influenti della Firenze di oggi con quelli della Firenze del ‘400. Sono gli stessi. Il censo rimane dominante, l’ascensore sociale è fermo: “uno resta quello che nasce”. La soluzione ci sarebbe: la redistribuzione della ricchezza. Uno degli strumenti utilizzati pressoché dovunque è la tassa di successione. Non da noi. In Italia rende allo Stato 800 milioni, in Germania 7 miliardi, in Francia 14. “Se il nipote imbecille di un nonno intelligente…”

Noi italiani siamo ricchi o siamo poveri? E’ un tema che ha anche a che fare con la fiducia nel futuro, le scelte per gli investimenti. In realtà non siamo un solo Paese, siamo classi, tribù. Il Paese dei lavoretti e del part time Sono 2,5 milioni coloro che, monoreddtito e figli a carico, hanno un reddito inferiore a 1400 Euro, cioè al disotto del livello della povertà. D’altro canto i ricchi possiedono 10.010 miliardi (specifica il testo del libro: mille e dieci). Non ricchi o poveri: disuguali. Su 60 milioni di italiani, coloro che pagano l’IRPEF (almeno 1 euro) sono 30 milioni, ma soli 5 di noi ne pagano il 60% del totale.

Manca il lavoro o i lavoratori? Viviamo fenomeni contrastanti: da un lato offerte di impiego a cui nessuno risponde e dall’altro posti di lavoro distrutti dalla pandemia o fenomeni di dimissioni volontarie. Di certo manca la formazione al lavoro: in Germania gli Istituti di alta formazione tecnica sono 2170, in Italia 800. Eppure i nostri laureati sono apprezzati all’estero: “La Germania cerca insegnanti a Napoli” titola un paragrafo.

Siamo troppi o troppo pochi? Il tema demografico presenta altrettante contraddizioni. Siamo troppi per la sopravvivenza del nostro territorio, ma troppo pochi per poter contare su una pensione decorosa per i nostri nipoti: il rapporto tra nuovi nati e pensionati si sta approssimando a 1 su 3. Mancano i nuovi italiani.

Siamo indietro in campo ambientale. Facciamo meglio di Francia e Germania per il tasso di riciclo (80%) ma perdiamo il 40% dell’acqua che mettiamo nelle condotte. Consumiamo di più dei nostri partner. Cresciamo poco nello sviluppo dell’energia solare e ci preoccupiamo del paesaggio anche quando si tratta di installare pale eoliche al largo nell’Adriatico, dimenticando che se non avessimo modificato il paesaggio in Liguria con i terrazzamenti, non esisterebbe un pezzo di quell’economia agroalimentare.

I dilemmi di un Paese inquieto, è il sottotitolo del saggio.

Incapacità di scegliere, come si vede dall’altalena dei suffragi nelle varie tornate elettorali.

Ma anche incapacità dell’informazione di cogliere elementi significativi del dibattito politico o economico. Un esempio è quello sui balneari. Il punto di vista sempre rappresentato è quello dei balneari, diciamo 30.000 persone; ma nel provvedimento in discussione c’è anche il tema del prezzo equo di sdraio e ombrellone; quello del libero accesso al mare, e di una quota di spiaggia libera disponibile. Aspetti che interessano milioni di noi. Peraltro c’è persino un risarcimento per gli investimenti sostenuti dalle imprese balneari e del futuro mancato guadagno.

Da un lato il giornalismo in Italia è riconosciuto professionale. Di contro c’è la comunicazione sui Social: l’assenza di intermediazione è vista come un valore in sé ma comunicare senza essere contraddetti significa la dittatura della persuasione. Mentre le risorse economiche, che derivano in larga misura dalla pubblicità, vengono concesse a chi riesce a penetrare di più il pubblico. Il più diffuso dei giornali italiani, “Il Corriere” con un milione di lettori si deve confrontare con le decine di milioni dei vari Social.

Più lavoro per le donne? Ma senza asili nido non si può parlare di flessibilità.

Accettare la vita vera o il metaverso? Anche nella “Second Life” nascono storie curiose.  Nel febbraio 2018, gli algoritmi che governano gli scambi di borsa andarono fuori controllo. Questi “trader” usano la volatilità, nel caso specifico i ribassi, come parametro per misurare i rischi di perdite a cui reagiscono con le vendite. In quell’occasione continuarono a vendere ben oltre la soglia su cui erano programmati, facendo perdere miliardi di dollari ai vari Warren Buffet (oltre 5 miliardi), Jeff Bezos, Mark Zuckerberg; mentre gli “umani” esterrefatti facevano affari comprando azioni a prezzi ribassati.

In realtà ognuna delle cinque domande ne trascina altre decine, ciascuna con le proprie contraddizioni.

Il compito di dare risposte è della politica. Siamo però vittime del politicismo, il vedere le cose con gli occhi della politica. Ma un limite della politica è visto da Pagliaro anche nella rieleggibilità dei candidati: è un problema che hanno tutte le democrazie, ma per noi è questo che crea un sistema bloccato. Toccò anche a Draghi che, pur chiamato ad una difficile operazione di governo dovette affrontare temi divisivi (i balneari, ma anche la riforma del catasto) rimasti irrisolti. Per governare c’è bisogno del consenso come dei partiti.

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

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