“La gente è affamata d’amore perché siamo troppo indaffarati, aprite i vostri cuori oggi, nel giorno del Signore risorto, e amate come non avete mai fatto” (Madre Teresa di Calcutta)

 

Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990

Testimone di 60 anni di cambiamenti urbani e sociali a Torino

Nei suoi ripetuti viaggi in Italia, Henri Cartier – Bresson – in mostra a Camera – circumnavigò la nostra città, (non ci sono testimonianze di scatti dedicati a Torino, assente nella mappa che  indica i viaggi del fotografo nella penisola). Quasi a colmare quel vuoto, la Project Room Centro Italiano per la Fotografia di via delle Rosine ospita fino al 6.04.2025, una raccolta di scatti torinesi di Riccardo Moncalvo,  Fotografie 1932-1990. Coevo del collega francese (1915-2008), la sua attività si sviluppò soprattutto nella collaborazione con clienti privati e aziende,  ma la ricerca personale lo condusse all’esplorazione della visione dall’alto e della purezza delle forme; l’incontro successivo con il colore lo porterà a realizzare opere che sfiorano l’astrattismo.

Abbiamo parlato con il figlio Enrico, custode dell’Archivio Riccardo Moncalvo, che conserva la totalità dei negativi inerenti l’attività del fotografo torinese e la maggior parte di quelli relativi al reportage professionale e industriale.

Qual è stato lo sguardo di Riccardo Moncalvo su Torino?

Mio padre aveva uno sguardo sicuramente di tipo molto professionale sulla Torino manifatturiera di allora. Lavorava nel suo laboratorio come fotografo-artista e stampatore, non è stato un fotoreporter come Cartier-Bresson o Berengo Gardin.  

Aveva sempre voluto fare il fotografo?

In realtà avrebbe voluto frequentare l’Accademia di Belle Arti e fare il pittore ma gliel’ha impedito mio nonno. Con la morte precoce di quest’ultimo ha ereditato l’atelier di Fotografia Artistica e Industriale, che aveva una committenza sia pubblica che industriale. Poi si è concentrato sul mondo dell’automobille, grazie a Stefano Bricarelli, amico di mio nonno e pioniere della Leica, che essendo anche il direttore e proprietario di “Stefano Bricarelli”, la rivista ufficiale della sede torinese del Reale Automobile Club d’Italia, gli forniva la clientela.

Si è anche occupato di ritrattistica privata

Riceveva commissioni per scatti di famiglie ed eventi privati della buona società torinese, una Torino che non c’è più. Però aveva un occhio molto attento al paesaggio,  lavorando per architetti  e per i libri del “Touring Club”, illustrando le varie regioni italiane.  In mezzo  a tutto questo ha realizzato anche immagini più libere e “artistiche”.

Si interessava alle opere degli altri fotografi?

Seguiva  il lavoro dei colleghi  attraverso i cataloghi delle mostre collettive o gli annuari della Fiat e credo che quella sia stata  una bella palestra visiva: ad esempio, tanti suoi tagli suoi prendono ispirazione da André Kertész.

Quali caratteristiche riconosce alla sua arte?

Rivelava interesse per la forma, che determina il contenuto, tipico dell’artista. Aveva uno sguardo estetizzante, tendeva a fotografare soprattutto le cose belle, e questo atteggiamento non appartiene di sicuro al giornalista.Teneva  contatti con  fotografi italiani?

Aveva normali relazioni da colleghi. Seguiva la produzione di Nino Migliori   e di Elirio Invernizzi ,  che documentò il lavoro di Lucio Ridenti alla Rai e che l’aveva  iniziato alla fotografia.

Lei che rapporto ha con la fotografia?
Ho un rapporto affettivo, molto forte, molto naturale, non professionale. Ero  docente di composizione architettonica al Politecnico di Torino, ma riconosco che l’interesse per il taglio compositivo  l’ho ereditato sicuramente da mio padre.

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

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