“Aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita”. Questo il titolo dell’incontro di presentazione del volume “La vita e i giorni. Sulla vecchiaia”, edito da Il Mulino, scritto dal fondatore della comunità monastica di Bose. In che modo, ossia, riempire di senso il tempo che avanza? E’ la domanda che certamente si pone anche la lunghissima fila di visitatori del Salone – e colpisce che molti di essi siano giovani – in attesa delle risposte che l’autore saprà dare con saggezza ed efficacia consuete.
«La morte non arriva con la vecchiaia, ma con la solitudine». Inizia con una citazione di García Márquez, che è anche un ammaestramento, la conversazione tra Enzo Bianchi e il giornalista Antonio Gnoli.
“L’amicizia è l’avventura più straordinaria che ho vissuto ed è anche antidoto alla vecchiaia”. Nonostante la fede, Enzo Bianchi non ha nessuna intenzione di andarsene “da qui”, proprio in virtu di “amici che amo e che mi amano, rinnovando ogni giorno il mio desiderio di vivere”. Amici a cui dedica affetto riconoscente e quelle doti culinarie che gli sono valse nel 2014 il Premio Artusi. E quindi il senso alla vita viene senz’altro dato dalla cura della rete di relazioni, nutrite nel piacere della convivialità. “Le persone devono essere feconde: far stare bene gli altri, renderli felici”: in questo modo si allontana anche il pensiero del decadimento fisico progressivo, la paura della perdità di capacità e competenze su cui si inciamperà inevitabilmente lungo i “tragitti della vecchiaia”.
Inoltre nell’età avanzata occorre comprendere che “c’è bisogno di vivere la vita ‘altrimenti’: con ritmi misurati, senza affanni.” Avere orizzonti diversi e sapere che – lasciate le occupazioni abituali – c’è “ancora tanta vita”. Dall’assaporare la bellezza dei luoghi della terra, guadagnati dopo percorsi meno frenetici, “la luce di Santorini, il Mont Ventoux”, scoperti e ovviamente condivisi con gli amici, fino a trovare il tempo di accorgersi dell’albero vicino casa, e – perché no – abbracciarlo, “sentirlo”, dopo averlo osservato con occhi nuovi.
Anima contadina, anima monferrina con il senso dei propri limiti, Bianchi ha passato di recente il testimone del priorato di Bose. Demitizzante nei confronti di ciò che ha creato, “Esageruma nen”, nonostante la fondazione di una comunità autorevole nell’attualità del dibattito tra credenti di comunità religiose diverse. “A un certo punto occorre lasciare la presa da molte funzioni, per non rovinare tutto ciò che abbiamo fatto bene prima.”
Quindi, mollare la presa e soprattutto “accettare l’incompiutezza”: nella vita concreta, spirituale, morale. Interiormente liberi e consapevoli di aver svolto il proprio compito, ma nel contempo arresi alla percezione struggente che molto altro deve essere fatto. Così è per lui: “Tutta una vita monastica e non ho ancora imparato ad essere un buon cristiano!”
Anna Scotton
Lascia un commento