“Un attore è un tizio che, se non stai parlando di lui, non ti ascolta.” (Marlon Brando) Del sacro fuoco per la recitazione e per la fama che arde in chi vive respirando la polvere di un palcoscenico o di un set si occupa pure una serie tv: Il metodo Kominsky (dal 2018, 22 puntate, 3 stagioni, da fine maggio 2021 online la terza), ideata dall’americano Chuck Lorre e prodotta da Netflix. Protagonisti di razza Michael Douglas e Alan Arkin, i quali interpretano due personaggi del mondo dello spettacolo su viale del tramonto: il primo, Sandy Kominsky, attore mai diventato famoso, ha però messo su una buona scuola di recitazione; il secondo è l’amico e agente cinematografico Norman Newlander, dai modi bruschi e dalla battuta pronta. A brillare, quindi, sono i battibecchi tra i due i quali, tra il caustico e l’irriverente, pattinano sui temi cruciali dell’esistenza (morte, malattia, genitorialità, sesso…) in modo leggero, intelligente e schietto. Il “metodo” del titolo forma gli allievi, attraverso la guida del mentore Sandy, oltre che al mestiere, alle asperità della vita. Nell’ultima stagione, la serie può vantare new entry di prestigio e carisma come Katleen Turner, nel ruolo della saggia ex-moglie di Sandy, e Morgan Freeman, in un gustoso cameo in cui si prende gioco di sé. Da vedere.
Hollywood, è una miniserie, prodotta da Ryan Murphy e anch’essa targata Netflix (2020, 1 stagione, 7 puntate). Liberamente ispirata all’autobiografia di Scotty Bowers (un ex marine che procurava sesso a pagamento alle star usando il proprio distributore di benzina come copertura), ricostruisce ambienti e atmosfere della Los Angeles degli anni ’50, regolata da razzismo, omofobia e abusi di potere. In realtà la Mecca del Cinema americano nella fiction è rappresentata più aperta ed inclusiva di quanto non fosse: fino ad ipotizzare il coming out di Rock Hudson, al secolo Roy Fitzgerald, impensabile per allora, e l’affermazione di artisti di colore (personaggi di fantasia), quali lo sceneggiatore Archie Coleman, gay e nero, o la brava attrice Camille, che riesce a emanciparsi dai ruoli secondari come cameriera, a cui l’avevano relegata in quanto afroamericana. Come a dire che Hollywood, ovvero Dreamland, è davvero la terra dove tutti i sogni, prima o poi, diventano possibili.
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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