[Playlist consigliata per la lettura: Oceano, di Roberto Cacciapaglia, eseguito da Roberto Cacciapaglia, Royal Philarmonic Orchestra, Michele Fedrigotti. Album: Quarto tempo, 2007]
“Poi dalla nebbia emerse la recinzione del lager: più giri di filo spinato tesi tra piloni di cemento. Una dietro l’altra, le baracche formavano strade ampie e diritte. La ferocia disumana dell’enorme lager si esprimeva in quella regolarità perfetta”.
Vita e destino è il capolavoro di Vasilij Grossman, tra i primi corrispondenti di guerra a entrare, al seguito dell’Armata Rossa, nell’inferno di Treblinka, nell’agosto del 1944.
Giornalista e scrittore russo di origine ebraica Grossman è vissuto nella prima metà del secolo scorso, scomparso a Mosca nel 1964. Durante l’assedio di Stalingrado è un corrispondente, il più celebre tra i reporter di guerra in Russia, fedele, fino a quel momento, alla linea ideologica del partito.
Si trova in Ucraina quando scoppia la grande carestia, assiste a scene di povertà e di miseria, ma sembra che quella condizione ancora non lo tocchi. Quando finisce la guerra, tuttavia, le cose cambiano, ha una sorta di conversione, si rende conto di aver basato le proprie convinzioni su una visione sbagliata del mondo.
Pietas, vergogna e solidarietà: là dove ci sono questi tre elementi, cita l’antica saggezza popolare russa, c’è l’uomo, là dove manca anche solo uno di questi, l’uomo si sgretola.
Il tema centrale del libro è la bontà fine a se stessa, senza scopo e senza secondi fini. Il bene come atto di donazione gratuito, quello che spiritualmente ci eleva maggiormente e ci avvicina a Dio. Come la scena descritta verso la fine del libro, dove una vecchia si trova di fronte a un soldato tedesco, mentre le passa davanti il cadavere di un adolescente portato via in barella. Raccoglie un sasso e dà l’impressione di volerlo scagliare contro il soldato. Invece, lentamente, con l’altra mano tira fuori dalla tasca un pezzo di pane e glielo offre.
La scelta di preservare la propria identità profonda, di esprimere i sentimenti di cura e di affetto verso i propri cari imprigionati emerge dall’umanità di alcuni personaggi, con la bontà degli umili, delle persone piccole, consapevoli di essere parte di un tutto molto più grande di loro: è per Grossman la sola risposta alle atrocità e al terrore dei totalitarismi.
Un grande romanzo d’amore e di sentimenti. Emanuele Torreggiani lo ha definito “il più grande romanzo del Novecento che fa impallidire tutti gli altri più grandi romanzi dello stesso secolo”. Ambientato in tempo di guerra, dove ci sono le grandi manifestazioni di quello che è il sentire, il vivere, tutto dilatato all’estremo. Un romanzo costruito durante l’assedio e la grande battaglia di Stalingrado, dove Grossman ha assistito allo scontro tra il popolo russo e il popolo tedesco, dove vede calcare sul palcoscenico narrativo i grandi attori di questa epopea, tanto militare quanto umana.
Ma è anche un grande romanzo di concetti, di filosofie, di politica, in cui gli uomini si amano, perdono la vita per un principio che noi diamo per scontato, il principio della libertà.
Nel libro i due più importanti protagonisti, un tedesco nazista e un comunista, si riconoscono come fratelli della medesima ideologia, che considera l’uomo pura materia, non invece quello che è l’uomo, realmente e autenticamente: un animale spirituale.
Grossman sviluppa la narrazione su diversi piani, ambientando la storia in regioni della Russia e dell’Europa orientale: Stalingrado, Ucraina, Auschwitz. Un romanzo corale col quale, attraverso il reclutamento di molti personaggi, l’autore si prefigge di denunciare tutte le violenze del Novecento, dal Gulag alla Shoah, dalla brutalità dei nazisti all’ottusità del totalitarismo staliniano.
Il quadro storico è molto preciso, anche nei dettagli, senza tuttavia appesantire la cifra stilistica dello scrittore, le cui caratteristiche lo hanno spesso fatto accostare all’altrettanto celebre Tolstoj.
Una narrazione con un registro stilistico particolare, una narrazione fluida, ma anche verticale, in cui si incontrano tanti personaggi che possono durare lo spazio di un capitolo e poi non ritrovarli più, affidando un significato unico e particolare alla storia, come se ogni momento fosse chiuso in se stesso e il libro cominciasse e ricominciasse ogni volta, dove ogni capitolo può costituire un libro a sè.
Il romanzo rimase censurato fino al 1980. Fu sequestrato da due agenti del KGB nel febbraio del 1961, per il contenuto di quell’esperienza, portarono via la stesura finale, le copie a carta carbone, le minute, gli appunti e persino i nastri della macchina da scrivere su cui l’opera era stata battuta. E non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non ne avesse conservato clandestinamente una copia, stampata poi a Losanna in lingua russa.
Paolo Nori, scrittore slavista, sostiene che una caratteristica tipica dei romanzi russi sia che nella parte iniziale ci si intorcina nella lettura dei nomi complessi e dalla difficile pronuncia, ma superate le prime trenta pagine si viene pienamente ripagati e, se si è fortunati, fanno anche male, molto.
Vita e destino è così, con una grandissima forza, pesante come un meteorite, con un travolgente e forte impatto sul lettore davanti al quale non si può rimanere indifferenti, toglie il fiato non solo in termini emotivi e di commozione autentica, ma anche di impegno.
Un libro corposo, di quasi mille pagine, dal quale diventa difficile staccarsi anche dopo averlo chiuso e riposto a scaffale e che, dopo averlo letto, dopo aver spiritualizzato l’autentico significato delle parole, può anche cambiare l’esistenza.
Loredana Pilati
loredanap@vicini.to.it
Vita e destino, Vasilij Grossman, Adelphi, 2013 (18,00 euro)
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