Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

SalTo 24: L’arte della gioia e dei film

Francesco Piccolo (12 maggio) ha dialogato con Valeria Golino,  regista della serie televisiva che verrà presentata al prossimo festival di  Cannes, tratta dal libro L’arte della gioia di Goliarda Sapienza,  capolavoro di un’ artista e di una donna a suo tempo considerata intellettualmente troppo libera. L’attrice racconta come la fiction sia frutto di un lungo lavoro, condiviso con attori, montatore, musicista, sceneggiatori, a tutti gli effetti “coautori” dell’opera filmica, e con cui stabilisce sempre una collaborazione proficua e intensa, come testimonia la presenza in sala al Lingotto anche di Jasmine Trinca, protagonista di questa come di tutte le sue regie. 

Golino, che rapporto ha avuto con Goliarda Sapienza?

L’ho conosciuta a 18 anni:  stavo girando Storia d’amore per Francesco Maselli che mi impose di perdere l’accento napoletano studiando dizione con Goliarda, sua ex moglie,  che insegnava al Centro Sperimentale. Per alcuni mesi,  3 volte la settimana, andai a lezione da lei. Ero giovane, non avevo ancora  capito il valore della disciplina, del miglioramento di sé che lei voleva trasmettermi: mi resta il rimpianto di non aver approfondito quella conoscenza.

Cosa l’ha colpita de L’arte della gioia?

Ho amato subito sia il personaggio di Modesta sia il libro, dai toni a volte cupi, a volte  di commedia. Ne ho colto la scabrosità intellettuale ed erotica, non facile da trasportare in immagini. Avevo inizialmente pensato di trarne un film, che ha uno sviluppo – per così dire –  “verticale”. Ragionando con gli sceneggiatori, abbiamo optato per la serie, che ha un senso “orizzontale”, più distribuito nel tempo.

Perché hai deciso la trasposizione di quest’opera dalla forza erotica  evidente?

Con la mia produttrice abbiamo deciso di  correre il rischio della retorica, del feuilleton, della spregiudicatezza anche intellettuale: nella serie  sono confluiti 2 anni e mezzo di lavoro.

Il tuo esordio come regista  ha colpito positivamente tutti.

È’ molto importante essere sottovalutati, come dice Kasia Smutniak, perché  dà la libertà di sorprendere. In realtà l’ho fatto molto tardi rispetto a quando lo desideravo. Avevo  lavorato con una pioniera della regia femminile come Lina Wertmuller e ho dovuto lottare col senso di inadeguatezza, anche se ho avuto la grazia di un successo precoce come attrice.  Mi sono sempre divertita a filmare, come facevo con l’amica Isabella Ferrari: insomma io volevo fare la regista e gli amici pagavano le conseguenze. Ho iniziato a 45 anni e devo molto agli altri, come all’amico produttore Domenico Procacci, che sono stati fondamentali esperienze professionali e umane

Dopo le regie il suo rapporto col mestiere di attrice è cambiato?

Cerco di essere la stessa, forse mi responsabilizzo di più, mi faccio più domande, anche se  riconosco il ruolo  gerarchico e  la volontà del regista. Mi piace ancora molto fare l’attrice.

Come scegli i ruoli e gli autori?

A volte devi anche solo lavorare, e le scelte possono anche dipendere dal  momento privato che attraversi.  Punto a  fare un buon servizio al ruolo e spero che quel ruolo lo faccia a me, ma idealmente per prima cosa scelgo il regista. Il ruolo viene dopo, il regista è tutto.

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

 

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