“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

“Euforia”, di Valeria Golino

‘Euforia’, il secondo film diretto da Valeria Golino, presentato a Cannes 2018 nella sezione ‘Un Certain Regard’, arriva a Torino accompagnato dall’autrice e dalla produttrice, Viola Prestieri.

Valeria Golino alla presentazione torinese di Euforia

Introducendolo, la regista ha parole belle per la nostra città, per la sua vivacità culturale, per l’operato di Filmcommission e per quanto tale agenzia riesca a fare per chi vi gira un film.

In “Euforia” Matteo, imprenditore arricchitosi nel settore dell’arte sacra, ospita nella propria casa, a Roma, il fratello Ettore, insegnante di scienze ombroso e schivo, che vive nella città di provincia in cui sono nati: Ettore ha un problema di salute e Matteo, grazie alle proprie conoscenze, potrà farlo curare al meglio, tacendo sulla gravità della patologia. I mondi dei due fratelli – lontani da tempo – vengono, in questo modo, a incontrarsi e a svelarsi: Matteo è un omossessuale che vive relazioni amorose occasionali; Ettore è in crisi con la moglie, si è innamorato di una donna più giovane, alla quale peraltro ha deciso di rinunciare.

Da queste premesse si dipana la storia, che vede i due uomini, di primo acchito molto diversi, in realtà entrambi irrisolti dal punto di vista affettivo e fragili: Matteo si è allontanato dalla provincia e dalla madre per affermare se stesso, ma dipende dal consumo abituale di cocaina, da una vita sociale compulsiva, dalla ricerca di un’illusoria perfezione estetica. Ettore, dall’esistenza apparentemente più semplice e solida, è incapace di esprimere fino in fondo i propri sentimenti, sia nei confronti della moglie, di cui si è disamorato, sia del figlio e della giovane amante.

I due attori, grazie alla Golino, che li definisce, non a caso, “coautori”,   hanno trovato in questa prova la propria maturità recitativa: Scamarcio rivelando ad ogni inquadratura tono ed espressione calzanti; Mastandrea in un’interpretazione asciutta e sempre più priva di quella romanità che a volte esonda sul personaggio.

La regista pone se stessa e gli spettatori di fronte a un tema cruciale:  in questo tempo le nostre conoscenze sono accresciute, e  – anche grazie alle informazioni reperite in rete – possiamo conoscere o prevedere quanto ci accadrà, ad esempio rispetto ad una malattia. Questa condizione ci rende più vulnerabili, inducendo smarrimento o il rifugio nella droga o negli psicofarmaci. O nella fede, e a questo proposito il film ha uno sviluppo  da commedia all’italiana: infatti i protagonisti arrivano  a Medjugorj,  nel giorno sbagliato rispetto all’ipotetico manifestarsi della Madonna, testimoni tragicomici dell’ inutile rifugio nell’irrazionalità da parte di molti laici, quando sono spaventati o messi all’angolo dalla sorte.

Infine, il problema dei problemi: se informare il paziente della gravità della sua malattia. In questo dilemma morale la regista sposa la tesi che – inconsapevole della gravità della propria condizione – il soggetto malato lotti con maggiore forza e speranza. Anche se prima o poi questa coscienza arriva, soprattutto  se il protagonista è uomo colto, quale Ettore. E allora, come spesso accade, non si capisce chi protegga chi: se il parente con il proprio silenzio pietoso o se il malato, che tace sulla consapevolezza del proprio stato, per non costringere i suoi cari alla fatica anche ipocrita della consolazione.
Ma il film non s’appesantisce nelle questioni etiche: anzi, nel modo tipico maschile di mascherare le emozioni attraverso schermaglie giocose, i protagonisti sovente manifestano quell’”euforia” che lascia sottotraccia il dolore, fino ad un finale che sa essere lieve e struggente. Da vedere.

Con Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca, Isabella Ferrari.

Dal 25 ottobre nelle sale torinesi.

Anna Scotton
annas@vicini.to.it

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


*