Lo scorso 9 aprile, Vicini ha partecipato ad uno degli interessanti “Martedì di Urban Center“: protagonisti di questo appuntamento, Stefano Olivari e Isabella Devecchi, i responsabili del progetto Miraorti. Il giovane paesaggista e l’agronoma hanno realizzato un’attività di inclusione sociale, di progettazione partecipata e di riqualificazione territoriale, partendo dal “lavoro nei campi”.
Il progetto di orto sociale “Miraorti” parte ufficialmente nel 2010, ma è nato per intervenire su una situazione ormai consolidata fin dagli anni ’60. I primi abitanti dell’attuale Circoscrizione 10 si stabilivano in un quartiere “dormitorio”, senza i servizi della città, periferico, ma non troppo esterno per essere considerato di campagna. Eppure il territorio nei pressi del Sangone e della Bela Rosin ha consentito la comparsa di centinaia di orti abusivi (in quanto realizzati a scopo privato, da privati, su terreni comunali), spesso anche con una superficie notevole. Oltre all’abuso edilizio, il problema riguarda anche la sicurezza e la salute: non è raro, infatti, imbattersi in capannoni e costruzioni con tetti in amianto.
Quando la Provincia prima, e il Comune in seguito, hanno deciso di intervenire con un piano di riqualificazione, dovevano essere applicate delle misure che non prendevano in considerazione la reale situazione del territorio della Circoscrizione 10, delle storie, delle relazioni e degli abitudini tra gli “ortolani”: ad esempio, gli orti, sebbene fossero realizzati abusivamente, venivano convintamente vissuti come proprietà privata da parte dei cittadini. Cittadini, che dagli operai degli anni dell’industrializzazione, sono passati ad essere i nipoti di quelle persone e sempre più compaiono famiglie di immigrati dall’estero, in particolare famiglie rumene.
Ed è proprio con l’attenzione alle relazioni che entra realmente in gioco Miraorti, chiamato così per sostituire idealmente il passato significato di Mirafiori: Stefano ed Isabella, dapprima hanno a loro volta “occupato abusivamente” un orto, stravolgendo però il concetto dell’orto protetto da barriere, abbattendo queste ultime ed iniziando a coltivare dall’esterno del perimetro. L’obiettivo non dichiarato era quello di renderlo un luogo aperto, di comunità. I maldestri tentativi di gestire l’orto hanno gradualmente attratto l’attenzione degli ortolani, che hanno pian piano preso ad aiutare a realizzare questo luogo.
Grazie alle relazioni createsi, è stato poi possibile fare la proposta di “legalizzare” gli orti abusivi, chiedendo la collaborazione degli ortolani, ora consapevoli di non essere proprietari di quei luoghi, ma con la possibilità di continuare ad occuparsene. Non che sia stato facile: oltre alla diffidenza delle persone, non certo ben predisposte, Isabella e Stefano hanno dovuto anche “fare i conti” con una specie di “ortolano-boss”, un influencer della comunità di ortolani, che si opponeva in modo secco e ostinato anche solo alle comunicazioni del progetto.
Ma molte soddisfazioni hanno dato invece le collaborazioni con le scuole del territorio, che hanno coinvolto (e coinvolgono tuttora) svariate classi di bambini, piccoli agricoltori in erba, in grado di sciogliere anche il cuore più diffidente: è stato anche grazie a loro, alla vitalità e alla voglia di imparare, che molti degli ortolani hanno deciso di collaborare in modo costruttivo con il Comune.
A tre anni dall’inizio di Miraorti, il progetto non si può però definire concluso: in parte perchè rimangono più di 500 orti abusivi ancora da bonificare e riqualificare, ma anche e soprattutto perchè si è deciso di proseguire in modo più organico e partecipativo, responsabilizzando i cittadini e chiedendo direttamente agli ortolani come secondo loro bisognerebbe procedere. L’esperienza dei responsabili del progetto Miraorti dimostra che la rigenerazione del tessuto urbano e del territorio non può essere messa in atto se non si impara a coltivare le relazioni.
Claudio Bortolussi
claudiob@vicini.to.it