«Ma come diavolo è possibile che la Bologna sia entrata nel radar di un edonista (non reaganiano) newyorkese?» si chiede Luca Iaccarino, coautore della guida “I cento di Torino 2020” in uno stimolante articolo sul Corriere Torino Food (“Trattoria Bologna, una bella scoperta”, 21 giugno 2020).*
L’ edonista, apprendiamo, è Steve Plotnicki, un ex discografico e pure di successo che ha creato un’organizzazione dal nome immaginifico di Opinionated About Dining (OAD); proviamo a tradurre: gente che ne sa di cibo. Nelle categorie di esercizi di OAD, fra gli estremi dell’alta cucina e “Cheap eats”, compare la classifica “Heritage”. Ed è fra queste che Iaccarino ritrova, giustamente stupito, la trattoria Bologna.
“Per uno straniero, Del Cambio e la Bologna hanno una qualità in comune: sono meravigliosamente, fortissimamente, squisitamente italiani!” Conclude Iaccarino.
Annoveriamo fra i meriti dello straniero anche il termine Heritage: tradizione, ma non solo gastronomica, tradizione familiare, un’eredità culturale che si trasmette.
La conosciamo, la trattoria Bologna. Ai margini del quartiere Aurora, tormentato ma amato dai suoi abitanti per la sua vocazione socializzante, la trattoria sembra che sia lì da sempre, con il suo pavimento di piastrelle in granella, i lampadari con le bocce, le parete piena di quadri che ricompaiono dopo ogni tinteggiatura. Lì c’è la tradizione familiare: prima di Giovanni, c’era lo zio Emilio, ristoratore da 200 chili.
Giovanni parte al mattino per andare a fare spesa a Porta Palazzo. “Mi guardi la macchina un attimo” e lascia le chiavi a un posteggiatore. L’auto è in ottime mani, alla faccia della delinquenza, e ricomparirà al momento opportuno.
Giovanni ha un particolare talento, un fine orecchio per i dialetti e a Porta Palazzo c’è da sbizzarrirsi:
“Te non sei di qui, di dove sei?” (“te” è il tu toscano)
“Sono pugliese”
“Sì ma non sei di Bari. Te sei…di Foggia”.
Nei ballatoi delle case di ringhiera che affacciano sul cortile del ristorante vivono numerose famiglie di etnia cinese. Così, mentre va a vuotare l’immondizia ha imparato qualche parola di cinese. Se, al termine di una cena, va a salutare gli ospiti, i clienti abituali lo sollecitano a parlare cinese: se si chiudono gli occhi sembra di stare davvero in un ristorante cinese.
A Porta Palazzo, il più grande mercato scoperto d’Europa, (ci voleva il lockdown per ricordarcelo), ci vuole l’occhio per riconoscere il trancio di pesce giusto, il polpo da fare con le patate, un arrosto da servire con i cuori di carciofo o coi funghi. E serve conoscere i mercatali per trovare i funghi quando i funghi non ci sono o il pesce per fare un cacciucco alla livornese ordinato per un’occasione speciale.
Poi, in cucina, ad addomesticare il polpo, a tirare fuori con le mani dalla friggitrice le patatine, una vita di polpastrelli ustionati.
Non ci saranno figli a continuare questa tradizione: il buongustaio di oggi preferisce la cucina impiattata alla cucina cucinata; eppure il 48% dei frequentatori di ristoranti guarda all’uso di alimenti stagionali/freschi**
Ci sono circa 180.000 ristoranti in Italia, (e di questi solo 374 stellati). E il numero di aziende che chiudono è in costante diminuzione, già da prima della legnata dell’emergenza Covid-19.
Tutti buoni motivi per tornare in trattoria
Gianpaolo Nardi
gianpaolon@vicini.to.it
**https://www.popeconomy.tv/video/quanti-sono-e-quanto-incassano-i-ristoranti-italiani
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