
In un’operazione meta-cinematografica, nell’ultimo suo lavoro Moretti è il regista Giovanni che sta girando un film ambientato nel 1956, a Roma, al Quarticciolo, proprio nei giorni in cui a Budapest irrompono i carri armati sovietici. L’intento è mostrare le reazioni a quell’evento, simboleggiate dal capo della sezione del Pci e redattore dell’Unità, Ennio (Silvio Orlando), filosovietico osservante, e dalla moglie, Vera (Barbora Bobulova), al contrario apertamente a fianco degli insorti.
L’autore di Palombella rossa e del documentario La cosa continua a osservare l’evoluzione della Sinistra nel nostro Paese, anche se forse preferirebbe girare un film che racconti la storia di una coppia, infarcita delle canzoni italiane più amate. Come Giovanni, che in questo dilemma non si accorge delle crepe nella relazione con Paola, la moglie produttrice (Margherita Buy): alla sua presenza distratta, insieme allo smarrimento di Ennio, che non si vede sopravvivere fuori dell’ortodossia ideologica, fa da contraltare la vitalità delle figure femminili, con l’amore per la libertà e per la vita di Vera e la forza della scelta di Paola (non a caso la sceneggiatura riporta la firma di tre donne, Francesca Marciano, Federica Pontremoli e Valia Santella)
La voluta non-recitazione di Moretti come nella tecnica di straniamento brechtiano induce lo spirito critico nello spettatore e fissa molti momenti di verità: personale (a proposito dell’assunzione degli antidepressivi, “queste cose ai figli non si dicono”) e professionale (il fastidio per i dirigenti Netflix che lamentano l’assenza nel suo film del momento what-the-fuck), per non citarne che alcuni.
Omaggio al cinema nelle soluzioni narrative (come Woody Allen portava McLuhan a supporto delle sue tesi, qui abbiamo i camei di Renzo Piano e Corrado Augias) e visive (il mondo del circo come metafora felliniana di una leggerezza ambita, seppur impossibile) Il sol dell’avvenire è il messaggio che attendeva, più o meno “dopo cinque anni”, la nutrita cerchia dei morettiani doc ( l’ultimo lavoro da testimone del tempo è Santiago, Italia, del 2018).
Ma ci auguriamo che riesca a parlare anche ai giovani, in quanto il regista non smette di credere nell’utopia di un socialismo dal volto umano – e con lui molti attori che hanno lavorato al suo fianco, presenti nel corteo finale del film – offrendo la personale risposta al luogo comune di chi equipara i regimi totalitari: «Il nazismo era il male evidente, il comunismo lo stravolgimento del bene».(Kazimierz Brandys)
Con: Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova
Nelle sale torinesi
Voto: 8,5/10
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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