Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

40 anni di salute a Torino

Anni fa su questo giornale in risposta ad un articolo pubblicato dal quotidiano cittadino, si scherzava affettuosamente sulla notizia, lì riportata, che l’aspettativa di vita della popolazione torinese, cambiasse a seconda della zona abitativa, nella fattispecie venivano prese in considerazione le fermate del tram che da Piazza Hermada si dirigeva alle Vallette.

https://www.vicini.to.it/2018/01/direzioni-pericolose/

Lo studio che ha portato a queste conclusioni è stato presentato il 24/4 scorso presso l’Urban Lab, dal dottor Giuseppe Costa, uno dei curatori della ricerca.

Nel corso degli ultimi quarant’anni la salute dei torinesi, come quella dei residenti in gran parte degli altri paesi industrializzati, è complessivamente migliorata. Lo dimostrano il guadagno nell’aspettativa di vita di circa 7 anni (tra gli uomini) e 6 anni (tra le donne) e il corrispondente dimezzamento della mortalità generale nella popolazione adulta. In altre parole, se all’inizio degli anni ’70 un trentacinquenne torinese poteva ancora aspettarsi di vivere altri 40 anni (se laureato) o 36 anni (se provvisto solo di licenza elementare o senza titolo di studio), oggi l’aspettativa di vita per un uomo di 35 anni è salita rispettivamente a 48 e 43 anni, livelli paragonabili a quelli che le donne trentacinquenni dei corrispondenti gruppi sociali già avevano raggiunto all’inizio degli anni ’70 e che oggi sono anche per loro ulteriormente aumentati (arrivando a 53 anni per le laureate e 49 anni per le donne meno istruite)

Fra i molti interrogativi che hanno spinto alla ricerca alcuni riguardanti la sfera occupazionale : che effetti riverberano sulla salute la disoccupazione e il lavoro precario? Quanti anni di vantaggio nella speranza di vita dividono i lavoratori con qualifica di dirigente rispetto a chi svolge un lavoro manuale? Quali strumenti assicurano salute e idoneità ai lavoratori che invecchiano? Che effetti produce sulla loro salute l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro? Che ruolo giocano le politiche di conciliazione? Se il capitale umano è importante per la salute, le opportunità di accesso all’istruzione sono state uguali per tutti a Torino negli ultimi quarant’anni? La carriera scolastica, come quella lavorativa, può essere definitivamente compromessa da una malattia? Qual è il lascito di questi meccanismi sulle disuguaglianze di salute tra i quartieri della città?

Sono alcuni degli interrogativi alla base dell’ampio lavoro di ricerca che prende forma nello studio Quarant’anni di salute nella città di Torino, realizzato dalla Rete di Epidemiologia del Piemonte e dal Centro regionale di documentazione per la promozione della salute DORS, oggi a disposizione di operatori e istituzioni, pubblica amministrazione e nuovi soggetti del welfare a documentare l’impegno delle istituzioni locali per una generazione di politiche attente alle ricadute sulla salute.

Nel lavoro si conferma con molti esempi come la storia sociale delle persone possa migliorare o peggiorare le chance di vita e la disuguale geografia dello svantaggio in genere sia causata alla mobilità residenziale dentro la città che porta le persone più agiate a cercare casa nelle zone più belle, accessibili e dotate di edilizia residenziale di pregio, e le persone meno agiate in direzione opposta.

Siccome spesso vi è corrispondenza tra benessere economico, più alto livello culturale, e scelte di vita più sane, è più facilmente riscontrabile la presenza di malattie ad alto tasso di mortalità ( cardiache, diabete) laddove vi è meno attenzione allo stile di vita.

Come per molte altre città italiane ed europee, anche i dati della città di Torino rivelano un quadro in veloce mutamento1 . Tra il 1971 e il 2011, la popolazione del capoluogo piemontese è diminuita, passando da 1.167.968 a 872.367 abitanti, mentre il numero di famiglie è aumentato a causa della contrazione del numero medio di componenti per nucleo. Cresce il numero delle famiglie unipersonali, mentre diminuisce quello delle famiglie complesse e si diffondono nuove tipologie famigliari come i nuclei monogenitore, le famiglie ricostituite, le convivenze more-uxorio, le coppie o le famiglie con membri di cittadinanza straniera. Aumentano ugualmente le separazioni e i divorzi, anche tra coniugi di età più elevata. Questi cambiamenti, iniziati lentamente dagli anni Settanta, hanno subito un’accelerazione repentina nel passato più recente e l’insieme di queste nuove forme famigliari assume oggi un peso sempre più rilevante.

Per finire, è auspicabile che dall’analisi di questi molteplici fattori scaturiscano politiche sanitarie, sociali, assistenziali consone ad un paese che attribuisce al cittadino un valore umano, oltre che numerico.

Giulia Torri

giuliat@vicini.to.it

Costa G., Stroscia M., Zengarini N., Demaria M. (a cura di), 40 anni di salute a Torino. Spunti per leggere i bisogni e i risultati delle politiche, Inferenze, Milano, 2017.

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