“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

Joseph e il suo sacchetto di biglie, al cinema

Joseph Joffo, bambino ebreo che ama giocare con le biglie, è il protagonista del film Un sacchetto di biglie, in questi giorni nelle sale. Oggi ha 86 anni, e il film del regista canadese Cristian Duguay è tratto dall’autobiografia che quel bambino, diventato adulto, scrisse nel 1973.

Il signor Joffo è uno dei pochi testimoni che ancora possono raccontare ai ragazzi delle scuole ciò che hanno vissuto, e il suo libro nacque proprio dall’esigenza di testimoniare ai suoi figli gli anni dal 1941 al 1944, trascorsi in fuga dai nazisti che occupavano la Francia. Oggi, tradotto in più di 20 lingue, è uno dei più letti e amati dagli studenti che riflettono sull’antisemitismo.

Joseph e Maurice Joffo sono due fratelli che, bambini, vivono a Parigi, nella Francia occupata nel ’40. Un giorno il padre comunica loro che devono separarsi dalla famiglia e iniziare un lungo viaggio attraverso il Paese per sfuggire alla cattura. Non dovranno mai ammettere, per nessun motivo, di essere ebrei.

A dieci anni Joseph impara a negare la sua identità, la sua religione, se stesso. Due fratelli soli contro tutti. La Francia è divisa in due, ma unita dall’odio antisemita, e anche nella zona non direttamente occupata i due ragazzini imparano che i collaborazionisti e i delatori sono ovunque.

Il film è dunque una drammatica storia vera avventurosa, che offre la realtà cruda di un’epoca che non può essere dimenticata. Vi compaiono figure eroiche, come il medico ebreo poi deportato, e l’arcivescovo di Nizza, Paul Rémond, il cui nome è oggi ricordato fra i Giusti delle Nazioni per aver salvato circa 200 bambini ebrei. In rilievo la mediocrità e meschinità dei collaborazionisti.

Qualche retorica di troppo, ma la bravura degli attori la perdona e indiscusso è il valore storico e didattico che la storia propone.

 

Rossella Lajolo

rossellal@vicini.to.it

 

 

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