Riportiamo di seguito l’intervista alla dirigente di un istituto tecnico industriale della provincia di Torino.
L’intervista è stata compiuta in due fasi: una prima la scorsa settimana nella quale ci è stato spiegato come è partita la scuola a settembre e quale è stata la sua organizzazione fino al decreto ministeriale del 24 ottobre; una seconda questa settimana, per vedere in che modo la scuola si è organizzata potendo accogliere a scuola solo il 25% degli alunni.
Prima fase
Come è iniziata la didattica a settembre nel suo Istituto?
Già dall’inizio di settembre siamo partiti con la didattica integrata quindi avevamo il 75% dei ragazzi in presenza e il 25% a distanza. L’istituto tecnico ha un indirizzo informatico, uno elettronico e uno incentrato sulle biotecnologie. Il fatto di avere un indirizzo informatico aiuta molto nella gestione di tutti e tre gli indirizzi dal punto di vista della metodologia: abbiamo le lim (lavagna interattiva multimediale) in tute le classi e delle piattaforme della Microsoft che ci permettono di lavorare senza grossi problemi di rete. Abbiamo ragionato in modo da mantenere una didattica a distanza costante anche per oliare il meccanismo e far sì che tutti i ragazzi siano attrezzati e gli insegnanti abbiano già una metodologia impostata, in caso di aumento della didattica a distanza. L’anno scorso è stato un trauma ma ha anche permesso di fare passi avanti su alcune metodologie: se un docente si mette davanti allo schermo e replica la lezione tradizionale diventa noiosissimo; bisogna provare a fare qualcosa di diverso: si da prima il materiale alla classe, la classe in una misura percentuale variabile, dipende dal singolo, si attiva a conoscere il materiale e poi si fa una videolezione interattiva.
Quali sono stati i punti di forza di questo tipo di didattica?
I punti di forza della didattica a distanza sono il fatto che si possa calibrare la lezione usando degli spazi temporali un po’ diversi. Posso anche pensare di raggiungere la classe alle 14, in un momento della giornata in cui i ragazzi sono anche più disponibili e rilassati e immaginando di avere uno spazio temporale un po’ maggiore: lascio del materiale ai ragazzi che lo guardano da soli e poi facciamo la lezione da 40 minuti che però, tenendo conto del lavoro dei ragazzi, dura in totale un po’ di più. Se vogliamo vedere gli aspetti positivi della didattica a distanza c’è sicuramente il fatto che essa entra nella vita del ragazzo un po’ come se entrasse in casa. Il punto negativo, è ovvio, è che la presenza concede una relazione che manca a distanza: è scontato che l’insegnamento passi da un momento di relazione, se questo non c’è, è difficile che passi qualsiasi cosa. Mancando infine la relazione tra ragazzi, diventa tutto un po’ più difficile.
I ragazzi vi hanno fatto presente qualche problematica per quanto riguarda questo tipo di didattica?
Lo scorso anno abbiamo fatto un sondaggio per vedere quali fossero i punti di forza e quelli di debolezza. Sicuramente l’anno scorso c’era l’aggravante che tutta la famiglia era a casa quindi potevano esserci problemi di rete ma il vero punto debole è il fatto che dopo un po’, seduto davanti a un video, la motivazione scende. Inoltre il fatto di essere una scuola tecnica fa sì che il 50% delle nostre attività si svolga in laboratorio: in un ambiente in cui la parte operativa è il fulcro, la mancanza del laboratorio è quella che i ragazzi lamentano maggiormente.
Com’è la situazione per i ragazzi che vengono a scuola?
Adesso o la classe viene a scuola o la classe sta a casa mentre ci sono scuole che si sono regolate dividendo la classe. Noi invece abbiamo ragionato che o tutta la classe sta a scuola o tutta la classe sta a casa e quando vengono a scuola, fanno attività laboratoriale.
Quindi possono utilizzare altre aule che non siano la propria.
Certo. Gli spazi sono completamente occupati, mai come quest’anno ogni angolo della scuola è occupato. Per questo la scuola è diventata un po’ più bella, avendo avuto la possibilità quest’estate di mettere mano alla struttura, banalmente di imbiancare.
Quali sono le difficoltà maggiori che ha riscontrato come dirigente all’inizio di quest’anno così particolare?
L’incertezza. Se devo dire, la cosa che continua a crearmi veramente ansia è non sapere cosa succederà la prossima settimana; tu programmi ma poi non sai se cambieranno le norme e quanti ragazzi avrai a scuola perché se hai un positivo la classe va in automatico in quarantena quindi la classe che pensavi avere in presenza diventa a distanza e perciò cerchi di farne entrare un’altra in presenza al suo posto.
Dal punti di vista dell’organizzazione come avvengono entrata, uscita e intervallo?
Visto che abbiamo avuto molto tempo per prepararci ci siamo organizzati bene: abbiamo alcune classi che entrano alle 8, altre alle 9, altre alle 10 e solo due classi entrano alle 11; ovviamente anche l’uscita è scaglionata: dalle 13 alle 16. L’ingresso avviene da due entrate diverse. Al massimo abbiamo 8/9 classi che entrano dalla stessa entrata: in questo modo tutti entrano in 7/8 minuti pur dovendo misurare la temperatura e controllare che la mascherina sia posizionata correttamente. Per quanto riguarda gli intervalli, è un momento triste perché non sono più comuni: sono svolti in classe perché i corridoi non possono garantire il non assembramento. A seconda dell’entrata delle classi quindi, al secondo e al quarto modulo, la classe si ferma in aula per 10 minuti, durante i quali i ragazzi mangiano e vanno in bagno.
Quindi la scuola al suo interno si sta organizzando al meglio per rispettare le norme anti-covid.
Posso garantire che non è possibile non rispettarle. I collaboratori scolastici sono disposti in modo tale che non appena una classe lascia l’aula sanificano tutto: le maniglie, le finestre ecc… e lo stesso succede nei laboratori, infatti loro sono parecchio affaticati.
A tal proposito, quanto sarebbe utile secondo lei, in termini di contenimento del contagio, chiudere le scuole?
Io credo che la scuola sia un presidio culturale indispensabile quindi non sono affatto favorevole alla chiusura. Se vogliamo pensare a situazioni ibride come stiamo vivendo adesso per andare in contro, diciamo la verità, ai trasporti che non riescono a gestire la situazione, si può ipotizzare di aumentare un po’ la didattica a distanza ma mantenere le scuole aperte è indispensabile. Noi d’estate abbiamo fatto dei tavoli con i trasporti i quali ci hanno detto che economicamente non riescono a reggere un incremento. Si può pensare di andare loro incontro ma per quanto riguarda l’interno della scuola, quella è sicura. Anche quei pochi casi positivi che abbiamo avuto derivano tutti da attività sportive condotte all’esterno, principalmente calcio (noi abbiamo molti maschi). Mi sembrerebbe paradossale confinare i ragazzi a casa in maniera completa con le difficoltà che ci sono anche nel mantenere l’attenzione per cui speriamo che le scuole rimangano aperte.
Nella vostra scuola in particolare ci sono tante classi in quarantena?
In questo momento ne ho due.
E come ci si comporta in caso di positività di un alunno?
In totale abbiamo avuto cinque casi di positivi in cinque classi diverse, quindi cinque classi in quarantena. Per le prime due, l’asl di Rivoli ha risposto in maniera molto precisa e mi ha guidato passo passo: i dottori mi telefonavano personalmente e mi dicevano cosa fare e i ragazzi sono andati a fare il tampone. In questa prima fase quindi l’asl è stata efficiente. Nella seconda fase (iniziata da circa due settimane) l’asl non ce l’ha fatta più a reggere quindi adesso, appena ricevo l’indicazione dalla famiglia della positività di un ragazzo, invito immediatamente i ragazzi a stare a casa in isolamento fiduciario e segnalo i nomi all’asl. Invito i genitori a seguire bene i ragazzi perché se compaiono dei sintomi devono recarsi subito dal loro medico curante ma la classe non è più sottoposta a tampone e i docenti nel frattempo irrigidiscono le loro modalità di prevenzione: sono sempre con la mascherina e sempre a distanza.
Quindi gli insegnati non possono essere lasciati a casa.
Diciamo che l’asl mi chiede di intervistare, usa proprio questa parola, i docenti. Se hanno un minimo dubbio di non essere stati, sia loro sia i ragazzi, a distanza e con la mascherina, stanno in quarantena anche loro.
A proposito degli insegnanti: quando è iniziata la scuola, avevate tutti gli insegnanti?
Il problema del precariato continua ad esserci. Io ho 150 docenti al completo e all’inizio dell’anno me ne mancavano 32.
A cosa sono dovuti questi ritardi nelle nomine?
Sono dovuti al fatto che il sistema nazionale delle nomine parte dal 10 di settembre. Se il reclutamento dei precari non parte prima, non è possibile iniziare la scuola con tutte le cattedre assegnate.
I genitori vi hanno fatto presente qualche problematica?
Mi aspettavo una maggiore diffidenza mentre quando abbiamo riaperto la scuola, cosa mai successa prima, tutti i ragazzi erano presenti (e io ho 1380 ragazzi): normalmente succede che qualcuno rientri qualche giorno dopo ma questa volta tutti gli studenti, anche quelli del serale, hanno occupato il loro banco il primo girono di scuola. Tutti hanno capito che senza la scuola si sta peggio. I ragazzi a scuola hanno capito che devono rispettare le regole ma la cosa grave è che non hanno capito che non appena varcano il cancello il mondo non cambia e dovrebbero continuare a tenere la mascherina. Quando arrivo la mattina e loro aspettano di entrare davanti al cancello, spesso mi fermo e gli invito a tirar su la mascherina e a distanziarsi ma dentro la scuola però c’è un clima di rispetto.
I genitori sono spaesati: ieri una mamma che ha ritirato un ragazzino dopo la segnalazione di un bambino positivo nella sua classe, mi chiedeva cosa doveva fare; io le ho detto che non doveva fare nulla a parte tenerlo a casa. Devi proprio accoglierli anche in questo, accompagnarli; in ogni caso sono assolutamente collaborativi. Se proprio devono dire, i più timorosi sono i docenti; sono presenti e corretti ma hanno un po’ paura magari perché hanno genitori anziani a casa o bambini piccoli.
Quindi non avete avuto casi di genitori che tenevano a casa i propri figli per paura di un eventuale contagio?
Sì, ne ho due su 1380 che hanno scelto l’istruzione parentale. In entrambi i casi c’è una patologia forte in famiglia.
In generale cosa sta funzionando bene nell’organizzazione?
La scuola sta funzionando; d’altronde ha avuto tanto tempo per prepararsi. Devo anche riconoscere che ho avuto una disponibilità economica: per tutto quello che ho dovuto comprare come prodotti per sanificare, mi sono arrivati finanziamenti dallo stato e le mascherine fino ad oggi vengono recapitate dalla protezione civile e sono in numero adeguato.
Se vogliamo dire le criticità sicuramente non c’è stata un’intensificazione dei trasporti e a livello complessivo zonale le asl non si muovono tutte nello stesso modo: noi siamo di un’asl piccola fuori Torino quindi tutto sommato la situazione funziona meglio mentre ci sono delle situazioni in Torino che non sono allineate.
A livello organizzativo, come scuola, forse non si poteva fare. Se avessimo potuto prevedere un ritorno così virulento forse sarebbe stato bene ridurre il numero di ragazzi per classe ma io sono nella scuola da tanti anni e posso dire che lavorare con classi più piccole sarebbe meglio in generale ma bisogna pensare che i costi aumentano quindi con le risorse che avevamo è stato fatto tutto abbastanza bene.
C’è una rete forte nelle scuole soprattutto tra quelle di pari livello.
Ha notato una differenza tra la sua scuola che è fuori Torino e altre di stesso livello a Torino?
Direi che non ci sono differenze se non proprio questo discorso di relazione con le asl. Anche i fondi dati a ciascuna scuola sono proporzionali al numero degli studenti che la scuola ha.
Avete avuto tanti assenti questo mese?
Diciamo che il brutto secondo me inizia ora, le influenze iniziano adesso. Sono stati a casa i ragazzi che sapevano di aver avuto contatti con positivi anche non stretti.
Seconda fase
Come avete organizzato la didattica dopo le indicazioni del decreto ministeriale del 24 ottobre?
Per mantenere il 25% degli alunni a scuola potevamo fare diverse scelte: far venire solo le prime ad esempio o ogni settimana un anno e fare una rotazione di cinque settimane. Per il momento abbiamo deciso di far venire ogni classe due giorni a settimana per un totale di 8/9 ore per classe a settimana, in modo tale che tutti i ragazzi vengano due giorni a scuola o per 4 o per 5 ore. Abbiamo la settimana A e la settimana B: nella settimana A una classe viene due giorni e la settimana B viene due giorni differenti, in modo da incontrare il maggior numero di docenti possibile. Per il resto si fa la didattica a distanza che ovviamente non può essere al 100% sincrona perché stare 32 ore (ore di lezione settimanali totali) davanti a un video diventa insostenibili: ci sarà un momento in cui il docente lascia fare attività laboratoriale ad esempio; speriamo che sia una didattica a distanza un po’alternativa. Nei due giorni a scuola, nei limiti del possibile, abbiamo cercato di mantenere le attività laboratoriali ma dobbiamo consentire anche la presenza a materie come matematica e inglese perché sappiamo che la parte delle verifiche diventa poi faticosa a distanza. Abbiamo privilegiato i laboratori ma abbiamo lasciato anche una rappresentanza di tutte le discipline.
Come è stato presa questa nuova misura dai ragazzi?
I ragazzi, per lo meno a scuola, sono assolutamente ragionevoli; si vede che vivono una situazione sociale e familiare che respira questo periodo per cui dicono “Va beh, purché serva”. Per certi versi, soprattutto i più grandi che l’hanno già sperimentato, sono anche un pelo propositivi: sono loro a dirci di non tenerli per sette ore davanti a un monitor perché diventa davvero faticoso. Adesso bisogna vedere nella realtà dei fatti quanti ragazzi perderemo: l’hanno scorso il primo problema è stato quello di fornire a tutti dei devise in modo che tutti potessero collegarsi. Sappiamo che questa situazione amplifica le differenze sociali: se in una casa ci sono tre o quattro figli senza una stanza propriamente tutta per loro, diventa già complicato per loro fare lezione a distanza. La vera lotta è nell’essere inclusivi per davvero e andare ad identificare i casi singoli.
Che cosa pensa di questa misura?
Penso che non sia il momento di fare commenti ma che ciascuno nel proprio ruolo debba fare il meglio che può: io devo cercare di organizzare al meglio, i docenti di insegnare al meglio e per il resto, speriamo di cavarcela. Tutti percepiamo, al di là del nostro ruolo lavorativo, che la situazione è tornata ad essere pesante quindi probabilmente è giusto fare così. Non amo tanto esprimere giudizi sul lavoro degli altri: penso che la scuola possa essere messa nella posizione di lavorare sufficientemente bene così. Certo che l’ideale sarebbe avere una didattica almeno al 50% in presenza, come avevamo detto la settimana scorsa.
Come mai avete scelto di non mandare solo le prime a scuola come fanno molti istituti?
Abbiamo fatto un minimo di brainstorming anche tra i genitori e abbiamo convocato un consiglio di istituto in cui siamo giunti alla conclusione che ogni classe ha una propria fragilità: i ragazzi di quinta si apprestano a uscire tra poco dal mondo della scuola; i ragazzi di terza da noi, Istituto Tecnico Industriale, iniziano un indirizzo nuovo quindi le terze sono considerate classi nuove a tutti gli effetti perché come gruppo non si conoscono e non conoscono i propri docenti di indirizzo. Se si fossero mantenute le misure di prima, con le classi prime sempre a scuola e gli altri al 50%, ci sarebbe stato un occhio di riguardo per le prime ma tutti avrebbero avuto la possibilità di andare a scuola. In ogni caso dobbiamo tenere presente che siamo una scuola tecnica: se uno dimentica l’aggancio con il laboratorio, sembra aver perso un po’ il motivo per cui ha scelto questa scuola. In generale non penso ci sia una decisione più giusta rispetto alle altre: è ovvio che i “primini” sono quelli che conoscono meno la scuola e avrebbero bisogno di stare proprio con noi ma in questo momento abbiamo deciso di fare una scelta equa, se dovesse andare per le lunghe, strada facendo si vedrà. Bisogna anche vedere come rispondono le prime, se rischiamo una dispersione maggiore, se in qualche prima c’è qualcuno che non frequenta in DAD: bisogna monitorare.
Vorrei che il messaggio forte, da parte di un dirigente della scuola, sia che le scuole devono rimanere aperte, in qualsiasi modo ma devono rimanere aperte sennò spegniamo davvero una luce.
Chiara Lionello
chiaral@vicini.to.it
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