poi Parigi è esplosa nelle nostre menti, mentre la gente moriva a Parigi sotto le bombe ed i colpi delle armi automatiche.
Si, ieri sera alla Biblioteca Civica Amoretti c’è stato l’incontro con Farhad Bitani che ha raccontato di come dentro lui c’è stato “un punto bianco” che lo indotto a cambiar vita. L’incontro con l’autore, nell’ambito dell’iniziativa Leggermente, con l’autore ha attirato un pubblico numerosissimo.
Nella notte a Parigi gli eventi drammatici portano in primo piano la parola “guerra”.
«Sono tante, forse troppe, le cose che ho visto nei miei primi ventisette anni di vita. Adesso le racconto. Lascio le armi per impugnare la penna. Traccio i fatti senza addolcirli, senza velarli. Dopo aver vissuto l’infanzia, l’adolescenza e la prima giovinezza nell’ipocrisia, ho un tremendo bisogno di verità». Inizia così il libro di Farhad Bitani, L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan (editore Guaraldi).
Classe 1986, ex capitano dell’esercito afghano, Farhad è nato e cresciuto immerso nella violenza. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico; più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo egli stesso contro i talebani.
Farhad ha conosciuto la ricchezza e poi la povertà, ha vissuto nello sfarzo e poi nella totale privazione. «Con i talebani ho assistito a stupri, decapitazioni. Con i mujaheddin famiglie potenti come la mia si sono spartite gli aiuti umanitari che giungevano da ogni parte del mondo ed erano destinati ai più poveri. Ho lapidato due donne. Non ho mai provato sensi di colpa. Ma le grida di quella madre e delle sue figlie obbligate ad assistere alla sua esecuzione non le dimenticherò mai. Il fondamentalismo islamico ha conquistato metà del mondo. Ora vuole la fine dell’Occidente. Come i mujaheddin e i talebani, anche io ero un fondamentalista. Disprezzavo tutti gli infedeli e credevo che sarebbe stato giusto che l’islam trionfasse con le armi in tutto il mondo.».
Come ha raccontato ieri sera Farahad, la sua cultura e la sua educazione gli avevano insegnato che assistere alle lapidazioni e alle mutilazioni avrebbe dininuito i suoi peccati ed uccidere gli infedeli gli avrebbe fatto guadagnare il Paradiso.
Un giorno di vacanza del 2011, Farhad è rimasto ferito durante un attentato alla sua vita. Un fatto che lo ha cambiato. Durante la riabilitazione a Dubai ha iniziato a scrivere le memorie che Guaraldi ha pubblicato.
Una storia apprezzata da Domenico Quirico, l’inviato speciale de La Stampa, che l’anno scorso, in Siria, è stato sequestrato per cinque mesi. Quirico ha scritto la prefazione del libro: “Farhad possiede quel genere di dignità che forse è di tutto il suo popolo, a cui noi non siamo più abituati. Raramente ho sentito, in un libro che parla di molte cose, l’odore della guerra: fumo, sudore, pane stantio, immondizie“.
Conclude Farhad: «Pronunciare la verità è un piccolo gesto, in fondo. La vera sfida è accettarla. E, ancor di più, accoglierla come propria storia personale. Perderò delle amicizie, ma non mi importa. Soltanto la verità può liberare il mio paese».
franco
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