Che Cipro, come l’Italia, sia percorsa da una crisi finanziaria, seguita da una pesante recessione, non è in dubbio.
Ma il messaggio che è stato fatto passare circa il riassetto del settore bancario di quella Repubblica non è corretto. Il prelievo del 37 % dai conti correnti non è una tassa a carico dei cittadini, ma un prelievo forzoso a carico dei correntisti di 2 banche, la Bank of Cyprus e la Laiki Bank.
Due Banche che hanno un giro d’affari paragonabile con l’intero PIL di Cipro – come se Intesa S. Paolo e Unicredit insieme facessero “girare” ogni anno 2000 miliardi-, che negli anni si sono espanse al di là della capacità di controllo dei propri amministratori, che si sono trovate esposte nei confronti del debito sovrano greco (leggi:titoli di Stato), che hanno fatto di Cipro una piazza finanziaria offshore.
Solo che offshore vuol dire, si perdoni la semplificazione, al di fuori dei confini, mentre Cipro è ben dentro l’Europa.
Niente a che vedere quindi con il famigerato prelievo del 6 per mille del Governo Amato del ’92 (destinato, fra l’altro, ad evitare la svalutazione della lira che poi invece avvenne a dispetto di tutte le rassicurazioni del Governo).
Niente di paragonabile con gli aiuti all’Italia di cui si parla, e che il Governo italiano ha sempre rifiutato per non rischiare un commissariamento da parte delle autorità monetarie. Non paragonabile perché il prestito fornito a Cipro è qualcosa come il 100% del Pil.
Prestito in cambio del quale, tra gli altri provvedimenti, si prevede che le due Banche subiscano una pesante ristrutturazione del debito, con azionisti ed obbligazionisti chiamati a sopportare la maggior parte dei costi. La novità è che, in questo caso, anche i correntisti con depositi oltre i 100.000 € dovranno contribuire.
Certo, analogie con la situazione greca e cipriota ce ne sono: ma non vorremmo che si accreditasse la tesi secondo cui una tassa sui conti correnti del 37 % sia un provvedimento attendibile.
Gianpaolo Nardi
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