“Dal mio punto di vista ora c’è bisogno di più giornalismo di quanto non sia mai stato.” L’aforisma di Jim Lehrer ben si addice alla necessità dell’impegno da parte dei professionisti della comunicazione nel documentare la realtà complessa di questo tempo (anche dalle parti di casa nostra…). E’ quanto intende fare un manipolo di cronisti-reporter al centro del film Civil war dello scrittore e regista Alex Garland: in un conflitto prossimo venturo, scoppiato negli Stati Uniti tra non meglio identificate “forze occidentali” e l’esercito regolare, l’esperta Lee, il collega Joel, la giovane Jessie e l’anziano Sammy mirano a raggiungere e intervistare il Presidente americano: al loro arrivo, scopriranno che il Campidoglio è stato messo a ferro e fuoco.
Il combattimento nella sede del Parlamento federale fa correre inevitabilmente il pensiero all’assalto a Capitol Hill da parte dei seguaci di Trump, dopo l’elezione di Joe Biden alla presidenza nel 2020, anche se il premier in carica del film è una figura discutibile di populista sostanzialmente inetto. Invece non sono spiegate né sembrano rilevanti le ragioni del conflitto interno al Paese: il racconto è una metafora potente contro la creazione pretestuosa di un avversario politico e la scia di morte che porta con sé ogni guerra. E i fotoreporter sono testimoni del crescendo di violenze e insensatezze, che fissano in scatti per immortalare – in efficace bianco e nero – i volti dei protagonisti degli scontri deformati da rabbia, sofferenza, terrore.
Il ritmo adrenalinico del racconto è segnato da un sonoro in cui la musica è sporcata dal rumore delle urla, degli spari; il film è pieno di citazioni e rimandi voluti, dai raid aerei e i combattimenti notturni che riportano alle atmosfere visive di Apocalypse now , alla scelta dell’attrice Kirsten Dunst, bionda algida e di nome Lee, come la fotografa idealizzata dalla giovane Jessie.
Con il passaggio di testimone dalla vecchia alla nuova generazione di giornalisti, Garland sottolinea la rilevanza della libera informazione nel decodificare il mondo presente e far crescere la pubblica opinione, quell’ ”architrave della democrazia” come la chiamava Giovanni Sartori.
Con: Nick Offerman, Kirsten Dunst, Cailee Spaeny, Wagner Moura, Jefferson White
Nelle sale torinesi
Voto: 8/10
Anna Scotton
Lascia un commento