Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Racconti dal ’68: intervista a Paolo

Vicini ha raccolto quatto storie personali del periodo del ’68 che raccontano quel periodo con una visione d’insieme che potete leggere nell’articolo di sintesi: questa è l’intervista a Paolo Nardi, redattore di Vicini ed ex operatore nel settore aereospazio.

Quanti anni aveva e cosa faceva nel ’68?

Nel ’68 avevo 19 anni e coincide con l’anno in cui ho cominciato a lavorare, quindi tutto quello che ha caratterizzato quell’anno io l’ho vissuto prima: grandi scioperi, rivendicazioni salariali che hanno portato a un gran numero di acquisizioni fino allo Statuto dei Lavoratori. Per me l’anno del ’68 è qualcosa che ho appreso più dai giornali e dalla TV.

A questo proposito quanta informazione c’era su quello che accadeva all’estero e in Italia?

Nel ’68 si leggeva: La Stampa, giornale di Torino filogovernativo e rappresentante del mondo del mondo del lavoro; leggevamo anche il Manifesto che faceva della controinformazione rispetto al taglio “filo-FIAT della Stampa; e infine la Gazzetta del Popolo, giornale filo socialista.

Guardavamo anche la televisione, gestita dalla sola emittente rai, e quindi entravano in tutte le case immagini da tutto il mondo di cortei, di manifestazioni di giovani contro la segregazione razziale, guerra del Vietnam. La storia quindi non è lontana, ma grazie alle immagine potevamo vederla concretamente.

Le reti radiofoniche, invece, erano gestite dal potere e fortemente legate al Vaticano quindi era difficile farsi delle idee proprie.

Ha mai partecipato alle manifestazioni?

Ho partecipato alle manifestazioni prima del ’68 con amici più grandi, invece nel ’68 lavoravo già a Caselle all’industria aeronautica e  qui giovani ingegneri portavano un po’ più di informazione: si parlava del maggio francese e dell’occupazione della Sorbona.

La manifestazione era vista come uno spettacolo, con i poliziotti che prendevano a manganellate i manifestanti, però eravamo mossi da un grande senso di partecipazione, di appartenere a qualcosa di più grande. Nel decennio del ’68 si è affacciata la nuova classe sociale dei giovani sulla scena mondiale; hanno messo in discussione quello che era stato imposto fino a quel momento, si sono saldati per creare qualcosa di nuovo. Non è stata un ‘epoca di cambiamento, ma un cambiamento di epoca.

Se dovessi confrontare i giovani del 1968 e i giovani del 2018, cosa direbbe?

Noi avevamo degli ideali, ad esempio l’idea che con lo studio si poteva migliorare la propri condizione che non significava solo comprarsi la Cinquecento nuova, ma non patire la fame. Poi avevamo il senso della società, di partecipazione e di possedere qualcosa in comune e di condividerlo. Oggi, invece, mi sembra di riconoscere una sorta di acquiescenza, manca quella voglia di combattere che ci caratterizzava. Noi nel ’60 andavamo a scioperare continuamente per nuovi obiettivi, e questo significava prendere freddo, stare fuori dai cancelli, rinunciare a una parte dello stipendio, oggi invece sembra quasi che i giovani si accontentino.     

Zoè Miglietta

zoem@vicini.to.it

             

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