Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Gregory Crewdson. Eveningside

Purtroppo è quasi arrivata alla fine la bella mostra su Gregory Crewdson  ospitata alle Gallerie d’Italia di piazza San Carlo. Per la prima volta in un museo “Eveningside”, il terzo capitolo della sua trilogia commissionata per l’occasione da Intesa Sanpaolo.

Chiamare l’autore “fotografo” può sembrare riduttivo, considerando che la perfetta messa in scena di alcune sue foto ricorda molto un set cinematografico. Basta pensare che per una singola foto Crewdson riesce a coinvolgere una vera e propria troupe di quaranta persone per capire che nelle sue opere la connessione tra cinema e fotografia va a sfumare fin quasi ad arrivare alla fusione delle due arti. Molti dei suoi scatti rimandano ad un certo tipo di immagini filmiche in cui vien istintivo riconoscere aspetti della cultura americana che fanno parte della nostro immaginario collettivo. Molti i rimandi all’artista  Edward Hopper e alle sue atmosfere da realismo americano;  per i cinefili inoltre, citazioni a registi come David Lynch e Steven Spielberg.

In “Eveningside” usando  la drammaticità del bianco e nero il fotografo immortala momenti di vita quotidiana in cui è  facile ritrovare le atmosfere del cinema noir classico. L’autore ama riscostruire la realtà : ogni foto è messa in scena con attori (tra cui la compagna Juliane Hiam e i loro figli), una illuminazione studiata, e interventi di post-produzione. Nei suoi set in genere lavorano almeno quaranta persone, coinvolte in una lunga preparazione che dura mesi in cui il fotografo definisce ogni dettaglio. Eppure, la prima impressione che le immagini restituiscono è quella di una provincia americana reale, forse estremizzata, ma comunque plausibile.

Questo è il terzo ed ultimo nucleo della trilogia dell’autore iniziata con “Cathedral of the Pines”, che apre la mostra, ed è una riflessione sul rapporto tra la natura e l’uomo  in cui l’ambientazione sono solitarie foreste. In questa serie, per la prima volta nel lavoro di Crewdson, la luce è naturale, appena forzata nei punti chiave del racconto. I colori saturi si combinano con una velatura complessiva che evoca una fotografia del passato, mentre la definizione e i dettagli fotografici denotano l’uso di una tecnologia del tutto contemporanea.

A seguire An Eclipse of Moths, il progetto più politico del fotografo.

In questo secondo percorso, Crewdson si muove su vasti e desolati paesaggi post-industriali, quelli di Pittsfield nel Massachusetts, che ha vissuto per anni del benessere generato dalla sede locale della General Electric che dava lavoro alla maggior parte degli abitanti, e che dopo la chiusura della fabbrica ha visto a poco a poco spegnersi le sue luci. È questa “l’eclisse delle falene” a cui allude il titolo, una metafora della delusione che si nasconde sotto la facciata del sogno americano.

Una curiosità: Gregory Crewdson prima di approdare alla fotografia fece parte di un abbastanza rinomato gruppo rock, il cui successo maggiore fu una canzone dal titolo profetico: “Let Me Take Your Photo“.

Giulia Torri

giuliat@vicini.to.it

 

Mostra alle “Gallerie d’Italia”

Piazza San Carlo 156

 

 

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