“L’infelicità dura a lungo, la felicità è un attimo e occorre saperlo cogliere”.
E’ un pubblico coinvolto e toccato nelle corde più intime quello che ha assistito l’altra sera, al cinema Ambrosio, alla proiezione di Felicità, con la presenza della neoregista. Il cuore narrativo del film, che si è aggiudicato il prestigioso premio del pubblico della sezione “Orizzonti Extra” all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, riguarda tutti, perché è la famiglia, più che mai al centro del dibattito odierno, anche per via di uno spot pubblicitario molto chiacchierato.
I Mazzoni sono un nucleo familiare malamente affettivo, disfunzionale, composto da due carnefici (i genitori) e due vittime (i figli): questi ultimi devono compiere il cammino per la propria emancipazione, ma è accidentato per entrambi, se pure in modo diverso. Claudio è psicologicamente fragile, irrisolto; Desirè colma i vuoti emotivi e la carenza di autostima attraverso l’uso anche non consapevole della propria bellezza: un corpo che esibisce e attraverso il quale si illude di esercitare una forma di potere. Così come crede di essere amata da Bruno, un maturo docente universitario: il quale ha letto tanti libri che però non l’aiutano a capire lei, imbarazzante, incolta perché fin da piccola ha dovuto lavorare per guadagnarsi il proprio posto nel mondo. Se i genitori sono un “mostro a due teste, lui è mostro a una testa” un intellettuale vile e giudicante: scelto da Desirè in un’ inguaribile coazione a ripetere, in quanto l’uomo se ne serve esattamente come fa la madre. Grata a Torino in cui ha vissuto alcuni anni per lavoro e che ritiene abbia rappresentato un momento fondamentale nella propria ricerca artistica, l’autrice rivela di aver avuto questo soggetto in testa da tempo e di essere riuscita a metterlo a punto grazie al felice lavoro di squadra con due amiche co-sceneggiattrici. Persino gli interpreti (Max Tortora, Anna Galiena, Sergio Rubini…) – davvero perfetti nei loro ruoli – dovevano essere quelli fin dall’inizio, e il risultato sullo schermo conferma la giusta alchimia tra il cast. A credere nel lavoro della Ramazzotti anche il direttore della fotografia Luca Bigazzi, che ha messo al servizio della regista colori desaturati, che spengono le emozioni, e rendono i volti – soprattutto dei fratelli – illividiti, assegnandogli il pallore dell’angoscia.
Commozione, applausi convinti, spunti di riflessione. Esiti di un’opera prima che ha centrato il bersaglio.
Nelle sale torinesi
Voto: 7,5/10
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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