
Non giovane: giovanissimo. Marco Placanica ha solo 26 anni, si occupa di pubblicità, primo passo per entrare nel mondo dell’audiovisivo. Rivendica con orgoglio di provenire da Ferrania (frazione di Cairo Montenotte), nome che evoca nastri di pellicola e capolavori della cinematografia mondiale (La ciociara, Mamma Roma, Roma città aperta), anche se è a Milano che ha trovato opportunità di lavoro e di crescita personale. L’abbiamo incontrato a Torino, alla presentazione del suo primo film da regista, La fortuna è in un altro biscotto, introdotto da Alessandro Gaido, presidente dell’Associazione Piemonte Movie: produzione indipendente, che per la realizzazione ha ricevuto il sostegno di Genova Liguria Film Commission, soprattutto nella persona della Presidente Cristina Bolla, in quanto il progetto ha interessato il territorio della regione, da Pietra Ligure al savonese, da Genova al Levante, coinvolgendo le maestranze del comparto audiovisivo locali. Il film ibrida diversi generi cinematografici, dal polar, alla commedia, al noir grottesco; ben girato, si avvale di una sceneggiatura accurata, un cast di professionisti e della fotografia del maestro Alessandro Dominici. Insomma: un esordio che promette bene.
Placanica, qual è la sua formazione?
Dopo il liceo sono andato a Milano: ho conosciuto una realtà aperta, che dà spazio a chi, come me, veniva da una cittadina di provincia e senza spinte. Ho cominciato a lavorare in una piccola casa di produzione: mi occupo di pubblicità, ma il mio sogno è realizzare qualcosa di narrativo nel cinema.
Da dove proviene la sua passione per il cinema?
Da bambino sono cresciuto con i film in vhs, la saga di Star wars, per esempio. Mio padre era grande amante del cinema, sicuramente è stata anche una passione assorbita per osmosi. Io vengo dal mondo del videogaming, da lì ho iniziato a girare e a montare video per youtube.
Quale scopo si dà con il suo cinema?
In La fortuna è in un altro biscotto nè il soggetto nè la sceneggiatura sono stati scritti da me; per un secondo, mio film, sto lavorando a una storia che narri le sfaccettature della psicologia umana. Senza effetti speciali o colpi di scena all’ americana.
Quindi per questo film si è messo a servizio di una storia ideata da altri
Sono molto contento di averla fatta mia, sia in termini stilistici che narrativi, perché ovviamente dal momento in cui ho preso in mano il progetto ho cercato di avvicinarlo il più possibile a me. Il genere non è quello che mi sarei aspettato di dirigere come prima opera, ma il tema della famiglia che viene affrontato mi interessa.
C’è qualche regista a cui si sente affine?
Arrivare dal mondo pubblicitario mi apre a sguardi che non sono solo cinematografici; comunque ci sono diversi registi a cui mi ispiro, ad esempio Yorgos Lanthimos, meno noto fino a poco tempo fa ma che ora con Povere creature! è sulla bocca di tutti. Io lo seguo già da diversi anni, le prime opere come Dogtooth mi hanno sicuramente segnato
Invece sente una contrapposizione con la generazione di cineasti più maturi?
Per svecchiare il cinema occorre il racconto dei giovani da parte di un giovane, come potrei essere io. Chi ci vuol descrivere o rappresentare spesso non appartiene alla nostra generazione.
Quanta Liguria c’è nel suo film?
Molta, il film è girato interamente in regione, ma abbiamo mostrato una Liguria diversa, non da cartolina: per individuare gli scorci devi conoscerla bene. L’obiettivo era il racconto di un non-luogo, per offrire un quadro non scontato della provincia italiana, non solo ligure.
Anna SCOTTON
annas@vicini.to.it
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