A Mirafiori, sede storica dei primi stabilimenti della Fiat e simbolo delle lotte operaie degli anni Settanta, è tempo di riqualificazione: una vecchia fabbrica abbandonata sta per essere abbattuta per fare spazio al vicino campo da golf.
Ma Carlo, Franco e Delfino, che nel capannone hanno speso buona parte della loro vita, non sono disposti a uscire di scena senza fare un ultimo tentativo per ripopolare il quartiere e riavvicinare figli e nipoti.
Questa è la sinossi del film girato a Torino dal registra Stefano Di Polito il cui produttore esecutivo è Mimmo Calopresti, ALESSANDRO HABER è Franco, ANTONIO CATANIA è Delfino, GIORGIO COLANGELI è Carlo.
Un film che ha la struttura di un documentario poetico più che una narrazione fiction cher possa ascriverlo come “lungometraggio di finzione”, ma è comunque un punto di vista struggente per chi come me ha lavorato 19 anni nella Real Casa (RdR: leggi FIAT) ed è cittadino di Mirafiori.
E’ evidente un punto di vista di seconda o terza generazione che vede la fabbrica come “centro del mondo” e ricorda più la positività delle relazioni umane vissute all’interno che i suoi lati alienanti.
Ma è anche il grido di chi, giovane, non ha più luoghi aggreganti, ne certezze nel futuro come quella generazione ora pensionata che faceva sacrifici che pagavano con una vita migliore.
La riflessione sul presente è lasciata fuori dalla sala, dopo il film anche se alcune scene di rapporto con i figli fotografano questa incertezza esistenziale.
Dopo il trailer un’intervista al regista
franco
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