Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Il giornalismo odierno a SalTo 22

Come dare le notizie  al tempo del web?

L’informazione  è la chiave di lettura della realtà, ancor più necessaria nell’epoca del social: un interessante percorso sul fare  giornalismo, oggi,  si è snodato a SalTo 22, a partire dalla  tavola rotonda “L’informazione in tempo di guerra”, con Gian Giacomo Migone, Marinella Venegoni, Marc Innaro, Daniele Macheda, e Vincenzo Vita, occasione per ricordare l’inviato di guerra Mimmo Candito, alla memoria del quale è stato intitolato il premio per un “Giornalismo a Testa Alta”.

La figura di Candito, professionista indipendente, spinge a  riflettere – nello specifico –  sull’informazione rispetto all’attuale conflitto russo-ucraino. Le notizie dai media nazionali e internazionali sono polarizzate, con evidente eliminazione di posizioni critiche o divergenti.
Poiché come sappiamo, “la prima vittima della guerra è la verità” il corrispondente RAI da Mosca, Marc Innaro, ha ribadito l’importanza fondamentale dell’inviato: il suo ruolo è fungere da filtro tra fonti di  segno opposto, occupandosi sempre di più della verifica dei fatti.  Daniele Macheda, Segretario Usigrai, avverte che la vicenda di Julian Assange,   è allarmante: una sua eventuale condanna negli Usa costituirebbe un pericoloso precedente e un attacco al nostro diritto di essere informati.
Il giornalista e politico Vincenzo Vita, segnalando con preoccupazione  che il nostro Paese rispetto al 2021 è sceso al  58° posto per  il grado di libertà di stampa tra 180 paesi del mondo, rileva che  siamo in momento di emergenza democratica in quanto oggi il 75 % dell’informazione dalla TV è presentata come spettacolarizzazione del dolore, perché “il dramma impone il consenso”.

Un giornalismo al passo con questi tempi può riuscire  ad avere maggior seguito ed efficacia? Ha provato a fornire una risposta il dibattito “Il futuro del giornalismo, tra qualità e innovazione” con Mario Calabresi, Andrea Fioravanti, Stefano Feltri, Virginia Stagni e Alessandro Tommasi. Si è  partiti dal libro Dreamers who do (Egea) di Virginia Stagni: bolognese, classe 1993,  la più giovane manager della storia del Financial Times  si occupa delle strategie di crescita di quella testata. L’esperienza internazionale l’ha portata a osservare che il settore delle  news deve essere rivisto da professionisti con competenze trasversali, figure ibride, “talenti contaminati” e disposti a sperimentare: a partire da un’analisi puntuale dei dati degli utenti,  per fornire un prodotto di qualità che li  informi, “diverta” e fidelizzi. La stessa sfida raccolta da Mario Calabresi, ex direttore di Repubblica: nella fondazione di  Choramedia  la più seguita società italiana di produzione di podcast, ha puntato a uno strumento in grado di  coniugare potenzialità informative e di racconto.  Tra queste esperienze si colloca anche l’esordio nel 2020, in piena pandemia, del quotidiano “Domani”: al timone Stefano Feltri,  già direttore del blog ProMarket.org dello Stigler Center, centro di ricerca dell’Università di Chicago. Nato nel come giornale online e poi di carta, “Domani” ha il proprio “centro di gravità” nel web e nell’ essere un riferimento per i progressisti. Ogni pezzo presenta un’introduzione  per punti, con tre bullet point,  la quantità di testo che sta nello schermo di uno smartphone, per avere un’idea immediata del contenuto, ma il rimando alla lettura più ampia e – volendo – cartacea resta irrinunciabile.

   

 

 

 

 

 

 

In questa partita  tra passato e presente dell’informazione, continua a collocarsi l’approfondimento tramite il prodotto “libro”, quando il giornalista – forte della propria esperienza sul campo – assume il ruolo di saggista e la responsabilità di chiavi interpretative  del reale: è il caso di Federico Rampini,  editorialista del Corriere della Sera da New York, che ha presentato a SalTo 22 il volume “Suicidio occidentale” (Mondadori, 2022), da lui definito una  sorta di “antefatto culturale” del conflitto che sta insanguinando l’Europa.

In veste di polemista, osserva come da molti anni i luoghi del potere economico e culturale dell’Occidente siano impegnati nella revisione dei valori della nostra civiltà: l’attacco da parte di Mosca ha seguito questo sentire e se n’è approfittato. Il senso di colpa per ritenerci la civiltà dell’oppressione ci ha reso più deboli: un esempio su tutti, in Usa il Columbus  Day viene ora inteso da molti democratici come giorno dell’infamia, perché nell’attuale clima culturale  Colombo è diventato l’archetipo dell’uomo bianco colonizzatore,  schiavista e genocida. Paladina della posizione più estrema dei progressisti americani è Alexandria Ocasio-Cortez, la quale ha proposto l’abolizione della polizia di frontiera ai fini di un’accoglienza degli stranieri senza limiti, per  rinforzare l’immagine degli Stati Uniti d’America come “terra d’immigrazione”.  Ma se per la  leader dell’ala sinistra del partito democratico “più accogliamo immigrati e gli diamo il welfare, più questi ci voteranno”, secondo Rampini una spinta ultraradicale  crea la psicosi dell’assedio e fomenta, al contrario,  il trumpismo; allo stesso modo nelle grandi università Usa le strette del politically correct starebbero promuovendo un nuovo conformismo. Paradossalmente, gli ucraini sarebbero in guerra perché condividono e difendono i valori dell’Occidente, rispetto ai quali – questo il monito dell’editorialista del Corriere della Sera e destinato a far discutere – dovremmo cercare  “di ritrovare un po’ di stima anche noi”.

Anna SCOTTON

annas@vicini.to.it

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