Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Panem et circenses

Oh dunque, il “Paniere del consumo” è più o meno quella cosa che dovrebbe rappresentare i consumi delle famiglie italiane. Scorrere negli anni l’evolversi delle necessità è illuminante e credo fonte di malinconico divertimento.

Indubitabilmente si chiama paniere perchè, al suo debutto, ad un paniere vero e proprio si ispirava.

Paniere, cioè quella cosa dove dentro ci stava il pane. Il pane quindi come bene basilare.

Ora però, tra le diete e i prezzi, il pane è un prodotto altamente sofisticato, ci si può ancora ad esso riferire? Forse sì, a patto che esista ancora il pane comune; ma dove sarà, ormai sostituito dai pani più strampalati? Con i semi, senza glutine, alle olive, alla carruba, senza grassi aggiunti, per celiaci, rosso, verde, giallo, a volte rigato come la maglia della Juve.

La tranquillizzante biova è quasi del tutto scomparsa per lasciar posto ai più trendy panepizza, ai panini al curry, agli ovolini alle noci del Madagascar.

Tutti naturalmente impastati con farine rarissime, selezionate, aristocratiche, introvabili alle nostre latitudini giacchè amanti di microclimi doc.

Paninetti carini, per carità, ma costando come una parure di Bulgari, come farli stare in un volgare paniere senza farli sfigurare?

Insomma, è il nome paniere che mi sembra anacronistico. Quanto meno chiamiamolo paniere punto due.

Giulia Torri

giuliat@vicini.to.it

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