“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

Vicini al Salone del libro: incontro con Pupi Avati

Nostra intervista.

Pupi Avati conosce la seduzione della parola.

Per com’è vissuto, per il cinema che ha realizzato e per come si racconta, lo scrittore e giornalista Guido Guerrera l’ha fatto diventare il protagonista di un libro biografico, La nave dei sogni, (Ed. Minerva).

Del resto la vita del regista bolognese è stata avventurosa e sorprendente come un romanzo: da quando vendeva pesce surgelato, ma poi ha visto Otto e mezzo di Fellini, che gli ha cambiato la vita.

Per fare il regista ha messo in campo la propria incoscienza e il gruppo degli amici del bar Margherita di Bologna, che sono state le prime maestranze. Dopo i fiaschi iniziali, il successo inaspettato di una pellicola con Ugo Tognazzi e Villaggio. E poi la parentesi americana. Insomma: 50 anni di film “rispetto ai quali sono più quelli che non sono piaciuti di quelli che sono piaciuti, ma stranamente sono quelli che sono andati male che mi hanno insegnato di più”, e lui è ancora qui a far cinema, a parlare ai giovani di quella cultura che la televisione di Stato non sa coltivare.

Quella che fa crescere e che ci dà la consapevolezza dei grandi capolavori che possiamo vantare: “Leonardo, Dante Alighieri: perché non raccontiamo e facciamo conoscere le loro vite straordinarie?”

Pupi Avati conosce la generosità, tanto da assegnare in un film il ruolo di arciere a otto aspiranti attori, ruolo da una battuta e basta, in realtà pensato per un figurante solo, ”perchè è così che va concepito il mondo”, e da concedersi alla nostra intervista.

Uscirà ad agosto un suo nuovo film: “Il Signor Diavolo”, che segna il suo ritorno all’horror. Per quali ragioni?
Nella circolarità della vita, nella vecchiaia si torna alle passioni che hanno contrassegnato la giovinezza; io sono cresciuto nella luce della paura, della favola contadina. Un mondo in cui il fantastico trovava la sua cittadinanza: adesso invecchiando ritorno ad avere nostalgia di quella stagione.

Pensa che questo film piacerà?
Questo film obbedisce a un genere che è quello horror, gotico. È un genere che ho praticato da ragazzo. Tornarci è stato una specie di check-up per vedere se sono ancora in grado di produrre paura, con un pubblico che è diverso da quello che riuscivo a spaventare anni fa.

La nave dei sogni può essere la metafora del cinema, un non luogo come il set, immerso in un non tempo, verso la meta indefinita di un nuovo film?
Il cinema oggi è davvero una nave, ma che è naufragata in una zona paludosa dalla quale sarà molto difficile rimetterla in mare perché gli incassi delle ultime stagioni non sono incoraggianti. E sulla qualità del lavoro dei colleghi non voglio parlare.

C’è un giovane regista che apprezza?
Ce n’è più d’uno, ma sono tutti rivolti agli incassi, ormai non c’è più l’ambizione di fare un buon film. Io sono andato 50 volte a proporre dei film promettendo capolavori. Il capolavoro non sono magari riuscito a farlo, ma ho sempre avuto dall’altra parte persone vogliose di fare un film, magari di successo, ma soprattutto un bel film. Adesso quest’ambizione non c’è più. Ma non solo nel mondo del cinema. La bellezza non si trova più da nessun parte. E’ un paese in cui la creatività è prossima allo zero, siamo vittime di un’omologazione spaventosa, tutto quello che riusciamo ad immaginare proviene da Cupertino o dalla Silicon Valley.

Qual è il suo film a cui è più legato?
E’ quello che dovrò fare. Io vivo ancora molto nella prospettiva di quello che farò.

Pupi Avati è un giovanissimo ottantenne con lo sguardo puntato verso il futuro.

Anna Scotton
annas@vicini.to.it

Trailer del nuovo film “Il Signor Diavolo”

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