“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

Lei mi parla ancora, di Pupi Avati

C’è un momento in cui il passato non è solo nostalgia, ma ha la forza  delle cose buone e smarrite: è quanto ci rivela Pupi Avati con il suo ultimo film, Lei mi parla ancora.

La vicenda è tratta dall’omonimo memoriale che Giuseppe Sgarbi ha voluto dedicare a Caterina Cavallini, detta “la Rina”, sua moglie per 65 anni, dopo la scomparsa della donna. Dei decenni della vita e dell’amore di Nino e Rina, giovani farmacisti della Ferrara degli anni ’50, il film non rivela molto: del resto i luna park matrimoniali, con le  montagne russe emotive e gli urti da schivare o reggere  come negli autoscontri, si assomigliano tutti. Ciò che  rende le unioni diverse sono l’inizio e la fine: che nel passato prevedevano  il “per sempre”, quel valore della durata allora attribuito ad ogni legame od oggetto. E in base ad un’educazione sentimentale  in cui  il senso dello stare insieme si trovava  nelle responsabilità familiari, nella realizzazione professionale e  negli interessi condivisi: il film vi accenna nel finale, soprattutto alla passione per l’arte che cementò la coppia e che fu formativa per il futuro dei figli, Vittorio ed Elisabetta.

Nel tempo fermo della piana del Po, non diverso da quello rievocato nei flash  back dai  suoni e colori  tipici della filmografia avatiana – la musica anni ‘50, la balera e il cinema all’aperto –  irrompe la morte di Rina e la contemporaneità rappresentata dal ghost writer che dovrà aiutare Nino a stendere i suoi ricordi. L’uomo è simbolo di quest’epoca e della diffusa precarietà sentimentale, in cui il per sempre non esiste: tutto è mutevole, fragile, transitorio. Nella stesura del libro i due uomini si parlano, mescolano voci e pensieri tanto che nel finale ad una lettura di Amicangelo, Nino gli chiede: “Sono parole mie queste?” Forse ha comunicato all’altro non solo la fortuna dell’incontro felice con Rina, bensì anche il valore – che oggi sarebbe davvero rivoluzionario – di un progetto scelto e perseguito, in cui l’io lasci spazio al “noi”: e l’amore adulto sia il puntello per affrontare  le  sfide della vita.

Menzioni agli attori: per mettere i ricordi nero su bianco, Sgarbi si è appoggiato allo scrittore e giornalista Giuseppe Cesaro, a cui  Fabrizio Gifuni ha dato volto e  rovelli esistenziali. Nelle espressioni e nei gesti  di Isabella Ragonese si legge l’”anima forte e determinata” di Caterina Cavallini da ragazza, a cui Stefania Sandrelli, invece, fornisce l’ energia  che la donna ebbe nella fase matura della vita.

Giuseppe ha, da giovane, le esitazioni giuste nell’attore Lino Mosella e la fragilità dell’anziano Renato Pozzetto, in un’interpretazione che fa brillare di una luce migliore l’intera sua carriera: in lui Pupi Avati si è riconosciuto, come  nell’indissolubilità dei voti coniugali, gli stessi  che da più di cinquant’anni lo legano alla  moglie Nicola, definita in più occasioni insostituibile hard disk  della propria vita.

Con Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Renato Pozzetto, Lino Musella, Fabrizio Gifuni

Disponibile su Sky e NOW TV

Voto: 8/10

Anna Scotton

annas@vicini.to.it

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