Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Parasite, di Bong Joon-ho

 

Riproposto in sala dopo la man bassa di riconoscimenti a Los Angeles 2020, Parasite continua a macinare spettatori. Film coreano più visto di sempre, ai primi posti nei botteghini italiani, negli Stati Uniti è il film non in lingua inglese con il più alto incasso del 2019.
Come nel primo passaggio a novembre, beneficiato dal passaparola dei cinefili, Parasite guadagna sale piene a Torino anche in questi giorni, reduce da quattro premi Oscar: miglior film, migliore regia, migliore sceneggiatura originale e miglior film internazionale.
Ma cos’ha di così accattivante per il pubblico un film non facile, una black comedy sulla rabbia e la fame di rivalsa sociale di una famiglia di sottoproletari sudcoreani?

I Kim, padre madre e due ragazzi adolescenti, vivono in un lercio e angusto scantinato nei bassifondi di Seul. Figli di questo tempo, impugnano lo smartphone e, per sbarcare il lunario, utilizzano a sbafo il wifi dei vicini e lavorano a cottimo seguendo un tutorial recuperato in rete. Su indicazione di un amico, il ragazzo, falsificando il titolo di studio, si propone ai Park, una coppia altoborghese, come insegnante d’inglese per la loro figlia e progressivamente tutti i suoi familiari riusciranno ad intrufolarsi – fingendosi autista il padre, governante la madre, insegnante d’arte la sorella – nell’elegante abitazione minimalista dei datori di lavoro. E’ la fortuna: quattro stipendi sicuri, l’accesso ad un mondo patinato, lindo e asettico. Durante un week end in cui i Park vanno in campeggio, la famiglia di abusivi si trasferisce temporaneamente a casa loro, ma da quel momento nulla sarà più come prima.

Il film cattura per la costruzione visiva accurata, la recitazione impeccabile, l’equilibrio tra affresco sociale, commedia nera e – nella seconda parte – thriller con venature pulp, senza perdere mai né incisività né ritmo. La Corea del sud di Bong Joon-ho, quarta economia del mondo asiatico, è la metafora convincente dell’Occidente industrializzato, dai livelli di disuguaglianza sociale non più sostenibili. Perché se i borghesi per i sottoposti hanno una benevolenza di facciata, in realtà quelli delle classi basse li riconoscono dall’odore, e li trovano insopportabili.
Scale, scale, scale. Rampe in discesa che portano i sottoproletari ai loro Inferi: il rientro più drammatico – dopo il ritorno improvviso dei Park – è segnato da una pioggia scrosciante il cui scorrere trascina i Kim alle fogne dalle quali provengono.

Bong Joon-ho non crede nella lotta di classe, e forse per questo è stato benedetto dall’Academy Award. Infatti quando i Kim incontrano nella casa altri disperati par loro, non si alleano, anzi ingaggiano uno scontro senza esclusione di colpi per accaparrarsi i benefici di un “parassitismo” scevro da ogni valore ideologico. Tutto, pur di non tornare a quei loculi da scarafaggi, segnati dall’odore del piscio di cui un passante si scarica quotidianamente davanti alla loro finestra.

Con Kang-ho Song, Sun-kyun Lee e Yeo-Jeong Cho
In questi giorni nelle sale torinesi
Voto: 9/10
Anna Scotton
annas@vicini.to.it

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