“A volte la tua gioia è la fonte del tuo sorriso, ma spesso il tuo sorriso può essere la fonte della tua gioia.” (Thich Nhat Hanh)

 

Sette oratori per una settimana di quarantena

#musicasuldivano
«La musica è un linguaggio universale: parla ad ogni uomo, è diritto naturale di noi tutti. Un tempo era soprattutto prerogativa di classi privilegiate in centri culturali, ma oggi, con la radio e i dischi, essa penetra nell’intimo delle nostre case, a qualsiasi distanza possano vivere dai centri culturali. A ciò si doveva arrivare perché la musica parla a ogni uomo, a ogni donna, a ogni bambino, a potenti e umili, ricchi e poveri, felici e infelici, a tutti coloro che sono sensibili al suo profondo e potente messaggio»: così scriveva L. Stokowski ne La musica per tutti. E allora quale scelta migliore, per questo periodo di quarantena, di ascoltare almeno un’ora di buona musica al giorno? Per i miei consigli di questa settimana, sette opere che hanno contribuito alla creazione del genere dell’oratorio (una forma compositiva drammatica generalmente composta per soli, coro e orchestra).

– Antonio Lucio Vivaldi, Juditha triumphans devicta Holofernes barbarie (1716)

Juditha Triumphans è opera sacra, militare e politica, ma soprattutto è capolavoro musicale e drammatico del Prete rosso: un implacabile e incalzante crescendo di tensione emotiva, un’esperienza totalizzante e certamente d’impatto anche al primo ascolto. La storia dell’eroina Giuditta che sconfigge l’infedele Oloferne, affidata allo straordinario coro delle putte dell’Ospedale della Pietà: le bambine lì accolte venivano infatti cresciute in una condizione monacale all’insegna della povertà, della disciplina e del lavoro, ma non mancava loro una attenta e ricca formazione culturale ed educativa. L’oratorio si apre con il possente coro dei soldati dell’esercito assiro di Oloferne che assedia la città di Betulia, tutto costruito sull’imitazione degli squilli di trombe.

– Georg Friedrich Händel, Theodora (1749)

Un oratorio drammatico in tre atti su libretto inglese di Thomas Morell, che riguarda la martire cristiana Teodora e la conversione al cristianesimo del suo amante romano Didimo. Un terremoto accaduto circa una settimana prima del debutto aveva fatto fuggire dalla città alcuni dei soliti protettori del compositore e comunque l’opera risultò un fiasco, che Händel avrebbe così commentato: «Gli ebrei non vengono a vederlo perché è una storia cristiana e le signore perché è una storia morale». Theodora era allora il preferito di Händel fra i suoi oratori: il compositore stesso classificò il coro finale del secondo atto (He saw the lovely youth) ben oltre l’Hallelujah del Messiah.

– Franz Joseph Haydn, La creazione (1798)

Un oratorio in tedesco su libretto di Gottfried van Swieten, che presenta come tema la creazione del mondo per come narrata dalla Genesi, dai Salmi e dal poema miltoniano Paradiso perduto. Ci sono pochi dubbi che Haydn desiderasse ottenere alti volumi di sonorità: nella première pubblica vennero impiegati ben 120 strumentisti e 60 cantanti. I tre solisti rappresentano arcangeli, che raccontano e commentano i sei giorni della Creazione: nella terza parte il ruolo di Adamo, come di consueto secondo la prassi del compositore, viene ricoperto dal solita che canta la parte dell’arcangelo Raffaele, mentre Eva spetta all’arcangelo Gabriele (anche se alcuni direttori si ostinano a convocare cinque cantanti diversi). Il coro è impiegato in una serie di passaggi monumentali, mentre l’orchestra sola suona principalmente negli episodi musicalmente descrittivi: il caos precedente la creazione, il sorgere del sole e la creazione di diversi animali.

– Ludwig van Beethoven, Cristo sul monte degli ulivi (1801)

(ma neanch’io so spiegarmi cosa c’entri in copertina Le Sabine di David)

Un oratorio in tedesco su libretto di Franz Xaver Huber, poeta che stava prendendo le mosse verso la carriera di librettista; si tratta del primo cimento di Beethoven con la musica liturgica, genere che l’autore non coltivò molto ma del quale produsse un capolavoro assoluto (la Missa Solemnis). La composizione durò appena due settimane, trascorse d’estate nei pressi di Schönbrunn: nelle intenzioni dell’autore l’opera doveva essere eseguita in Quaresima, quando l’esecuzione di altri generi musicali era proibita nei teatri. Ferdinand Ries, allievo del compositore, narra che le prove d’orchestra durarono molto a lungo e diversi brani non furono affatto eseguiti: tuttavia la rappresentazione fu un notevole successo, come riportato dalla celeberrima rivista Allgemeine musikalische Zeitung.

– Felix Mendelssohn Bartholdy, Elia (1846)

Terminato l’11 agosto 1846, l’oratorio fu eseguito per la prima volta appena due settimane dopo al festival di Birmingham, in Inghilterra, sotto la direzione dello stesso Mendelssohn (un’ottima scelta). Il libretto, scritto in collaborazione con il teologo Julius Schubring, è tratto dai due libri dei Re del Vecchio Testamento e narra vita e miracoli del profeta Elia secondo la tradizione cristiana. Mendelssohn, fervido protestante, diede la sua personalissima visione della vicenda biblica adottando una particolare simbologia musicale: Elia maledice l’empietà del suo paese in uno stupefatto silenzio (legni e ottoni in piano), che diventa poi terribile frastuono (il fortissimo di tutti i fiati) nella profezia della siccità. Il tono è inesorabile: sapremo dell’inflessibilità del Signore contro gli empi per bocca del suo servo, poi ne conosceremo la misericordia e la bontà.

– Arnold Schönberg, La scala di Giacobbe (1917)

Così scrisse Schönberg in una lettera del 13 dicembre 1912 al poeta tedesco Richard Dehmel, (ispirazione per il celeberrimo sestetto Notte trasfigurata): «Da molto tempo vorrei comporre un oratorio, il cui contenuto dovrebbe essere: come l’uomo di oggi, che è passato attraverso il materialismo, il socialismo, l’anarchia, che è stato ateo, ma in cui tuttavia è rimasta una piccola traccia dell’antica fede (sotto forma di superstizione), come quest’uomo moderno affronti Dio e alla fine arrivi a trovarlo e a credere. Imparare a pregare! Questa metamorfosi non dovrebbe essere provocata da un intreccio macchinoso o da vicissitudini del destino, e neppure da una storia d’amore. O perlomeno, queste cose dovrebbero comparire sullo sfondo, come allusioni o moventi occasionali. E, soprattutto, il modo di parlare, di pensare, di esprimersi dovrebbero essere quelli dell’uomo contemporaneo: dovrebbero essere trattati i problemi che oggi ci assillano. Anche i personaggi della Bibbia che affrontano Dio si esprimono come uomini del loro tempo, parlano delle loro faccende, conservano il loro livello sociale e intellettuale».

– Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič, Il canto delle foreste (1949)

Un oratorio per tenore, basso, coro misto, coro di voci bianche e orchestra su testi di Evgenij Dolmatovskij. La sua composizione fu ispirata (almeno/soltanto formalmente) dalla pubblicazione, nell’autunno del 1948, di un assurdo piano staliniano di riforestazione, con il quale si intendeva circondare le steppe con delle foreste, ricoprendo enormi spazi della Russia del sud, della Siberia e del Kazakistan con delle piantagioni verdi. Dopo il XX congresso del PCUS il testo dell’oratorio/cantata (perché va pur detto che la mancanza di un soggetto letterario farebbe propendere più per la seconda) è stato modificato due volte: di conseguenza, nella versione del 1960 il termine “stalingradesi” è stato sostituito da “komsomoliani”, mentre il nome di Stalin e tutti i riferimenti diretti o indiretti al dittatore come “padre dei popoli” sono stati eliminati.

Si tratta comunque di uno dei generi cardine della storia della musica, specie per quando riguarda l’epoca proto-barocca e barocca: non possono mancare all’appello (e fermandosi al solo caso italiano) le opere di

Carissimi (qui),

Stradella (qui),

Scarlatti (qui) e

Caldara (qui).

 

Buon ascolto!

Matteo Gentile

matteog@vicini.to.it

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