L’attivista indiana Vandana Shiva è ospite speciale dell’edizione di quest’anno di CinemAmbiente e protagonista di due appuntamenti del Festival, il dibattito “La terra contro la guerra”, con Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele, e la tavola rotonda organizzata da Casacomune sul ruolo delle donne di fronte alla crisi climatica.
All’incontro con la stampa è stato chiesto all’ambientalista, che è uno dei principali leader dell’International Forum on Globalization, di illustrare le forme del suo impegno.
“Nel 1987 ho fondato l’associazione Navdanya (letteralmente “nove semi”), un movimento per la protezione della sostenibilità alimentare, della conservazione delle sementi e dei diritti dei piccoli agricoltori in tutto il mondo e di cui l’associazione Terra madre italiana è un costola.”
Quali sono le vostre proposte per aumentare la produttività dei suoli?
“Sosteniamo la necessità di coltivazioni che assorbano il carbonio, che alimenterebbe i microorganismi del terreno e rimuoverebbe dall’atmosfera l’ anidride carbonica. Teniamo conto, però, che siamo in un momento in cui anche l’agricoltura ecologica può diventare un fattore economico per determinati attori. Non è filantropia, è una forma diversa di capitalismo.”
L’Occidente e la Russia: la crisi internazionale può accelerare che lo sganciamento dai combustibili fossili (gas e petrolio)?
“Potrebbe favorirlo, ma i governi in questa fase storica mi sembrano ancora troppo dipendenti dei combustibili fossili. La crisi attuale avrebbe questa possibilità in quanto ci ha dato la consapevolezza della situazione di emergenza: la Terra esiste da 4 miliardi di anni, ma ha visto se stessa distruggersi solo negli ultimi 200 anni, con un consumo estremamente rapido di risorse che sono occorsi milioni di anni perché si formassero”.
Qual è il ruolo delle donne nella lotta contro la crisi climatica?
“Le donne con la loro attitudine storica alla cura della famiglia, delle persone, a coltivare e produrre (nell’ attenzione alla biodiversità) rivelano un approccio che tende a “proteggere” il pianeta. Inoltre hanno doti di empatia con l’altro, di resilienza, cioè la capacità – dopo situazioni negative e di crisi – di tornare alla condizione precedente, e di solidarietà. Queste risorse tradizionalmente espresse nelle comunità, sono quelle che vanno applicate all’ecosistema. Ecco perché l’ecofemminismo può essere un’alternativa al patriarcato capitalista che sta portando noi e la Terra verso la distruzione e la morte. E se non impariamo a ridurre i consumi, non importa quanti centri commerciali, anche ecosostenibili, avremo intorno a noi: ci estingueremo!”
Lei ha ricevuto critiche anche da persone vicine alle tematiche verdi, pensiamo a Norman Borlaug, premio Nobel per la pace e padre della cosiddetta Rivoluzione verde, il quale era convinto che la proposta dei suoi modelli agricoli non fosse sostenibile. Cosa risponde?
“Io ho visto e studiato le conseguenze della violenza dell’agricoltura intensiva, con danni e morti a causa della chimica ad essa applicata. Nel 1987 ero ad un incontro in cui si è parlato per la prima volta di Ogm: da allora mi batto la biosicurezza, ossia per i diritti dei contadini e per porre dei limiti al sistema produttivo (tabacco, pesticidi, plastica, nucleare…) e ai suoi abusi. Siete dei giornalisti e potete capire come, ovviamente, la mia voce possa non essere gradita a molti…”
Anna SCOTTON
annas@vicini.to.it
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