Per le vie di Torino si sono aggirati svariati personaggi letterari, qualcuno ci è rimasto particolarmente nel cuore, altri sono passati senza lasciare traccia.
Commissari parecchi, uno particolarmente ricordato forse per associazione al fascino sornione di Marcello Mastroianni, o perché protagonista di un film discreto, restato nell’immaginario collettivo come esempio di possibile integrazione tra realtà cittadine assai separate.
Ora sono arrivati, a riempire il vuoto di commissari memorabili, i due protagonisti che Davide Longo descrive nei suoi romanzi.
L’ultimo è “Una rabbia semplice”, ma già li avevamo conosciuti nei precedenti “Il caso Bramard” e “Così giocano le bestie giovani”.
Bramard e Arcadipane, questi i loro nomi, sono due personaggi singolari. Ciascuno a modo suo mette in scena un certo disagio di vivere, l’uno per il bagaglio di tragedie che lo hanno segnato unito ad un carattere spigoloso, l’altro per l’incapacità profonda di sintonizzarsi con il mondo che lo circonda. La professione li fa incontrare e il caso li affianca ad una figura di eccentrica poliziotta, anche lei soggetto bizzarro, di poche parole e molti piercing.
I tre costruiscono una monade di disagio che in qualche modo si sostenta e si rigenera con le rispettive presenze. Un grumo di dolori, quasi sempre inespressi, che ne cementano l’apparentemente barcollante unità.
Intorno a loro ruotano persone. Non macchiette, non comparse piacione. Gente comune che fa i conti con la propria esistenziale solitudine.
L’autore non concede niente all’assolutorio, tutti sono portatori dolenti di normale anormalità.
Tutto questo avviene in una Torino realissima ma quasi metafisica nelle sue amare mancanze di punti di riferimento.
Ma il tratto che fa di tutto ciò un’amalgama perfetta è la sapienza del linguaggio.
Le parole riacquistano finalmente un senso, non una va sprecata, sempre e solo a significare il significato.
Terminato di leggere il romanzo, da subito mancano i silenzi ostinati di Bramard, il passo goffo di Arcadipane ad attraversare una città solo apparentemente ostile, gravata dalla sua storia ma ancora capace di confrontarsi con le sue ferite.
Questa Torino sincera e questi personaggi per niente eroici, sembrano regalarci finalmente un’atmosfera diversa da quella dei soliti gialli stucchevoli di cui ultimamente abbonda il panorama letterario italiano.
Giulia Torri
giuliat@vicini.to.it
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