Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

The Palace, di Roman Polanski

Chi era ragazzo negli  anni ‘60 ricorda le aspettative riposte nel 2000: sulla Terra  la vita degli umani sarebbe stata alleggerita da mille confort tecnologici, da  benessere diffuso, dalla presenza di servizievoli robot e la possibilità di muoversi tranquillamente nello spazio. Insomma quel futuro prefigurato dalla sit com d’animazione americana I pronipoti (1962), ideata dalla  leggendaria casa di produzione Hanna e Barbera.  In effetti i progressi sono stati  molto più lenti del previsto, e quell’avvenire è ancora  lontano dall’ essere tra noi. Anzi: il 2000 fu introdotto addirittura da apocalittici timori  di sapore medievale e paventando il “millennium bug”, il crollo dei sistemi informatici mondiali per lo scoccare dell’anno con tre zeri.

Roman Polansky trascorse la memorabile notte del 31 dicembre 1999  al “Palace Hotel” di Gstaad, in Svizzera, in compagnia di innumerevoli “vip” e ha voluto raccontarcelo  a suo modo nel film omonimo, passato fuori concorso a Venezia 80 e foriero di  pareri critici contrastanti. Tra chi l’ha liquidato come un “cinepanettone” insulso e triviale e chi (come  l’attore amico Luca Barbareschi, produttore di cinque suoi film) ha difeso a spada tratta il  valore intrinseco dell’opera.

In realtà The palace è essenzialmente una commedia, la quale diverte, come dev’essersi divertito Polanski, vent’anni e più dopo, a raccontare  quel Capodanno trascorso nella cornice dorata di un hotel di lusso, con una clientela ricca e gaudente, alla tivù le dimissioni di Eltsin a favore di Putin, che prometteva di portare la democrazia in  Russia e di risollevare l’ economia dal Paese.

Lo sguardo retrospettivo del cineasta polacco è nutrito di disincanto: Putin si è rivelato il dittatore che ben conosciamo, la fine del mondo informatica non c’è stata, ma siamo più che mai avvolti dalle spire della tecnologia;  la presunta “buona società”, è sempre peggio rappresentata da orribili vegliarde rifatte male e milionari bolsi e volgari; non tutte le ventenni sono buone e ingenue, qualcuna può anche portare a spasso il cadavere del vecchio marito, per simulare la sua esistenza in vita quel giorno in più utile a ereditarne il patrimonio (ogni riferimento alla  vicenda personale del regista è legittimo…).

Se questo voleva essere il commiato di un grande autore novantenne, Polanski lo ha realizzato con il sorriso amaro di chi balla sulla tomba. Di questo tempo, o forse sulla propria.

Con: Oliver Masucci, Fanny Ardant, John Cleese, Luca Barbareschi,  Mickey Rourke

Nelle sale torinesi

Voto: 7,5/10

Anna Scotton

annas@vicini.to.it

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