Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Panino libero e mense scolastiche

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Riceviamo e pubblichiamo

Torino, il conto del panini libero” titola la Repubblica (R.it, 24 gennaio, Gabriele Guccione)

“Ecco il conto: la “libertà di panino” è costata sinora alle casse del Comune la bellezza di 3 milioni di euro”.

L’articolo sostiene che oltre il 12% delle famiglie, da quando è stato sancito il diritto al panino in cartella, ha rinunciato alla mensa scolastica, con un danno conseguente alla Società che gestisce le mense scolastiche.

L’articolo è corredato da un servizio fotografico professionale e vivace, da cui emergono variopinti tupperware pieni di cibi multicolori, scatolette dalle scritte vivaci, un thermos pieno di riso.

Non ho potuto reprimere un senso di angoscia.

Ho cominciato a lavorare nel 1968 a Caselle. La mensa aziendale era costituita da un salone e dal barachin: per chi non lo conosce (impossibile nella patria di origine della FIAT, ma non bisogna dare nulla per scontato), un contenitore metallico che veniva posato all’ingresso in una vasca che lo riscaldava da metà mattina fino all’inizio del primo turno di refezione.

Non potevo sopportare quella pasta che era stata infilata a forza ancora calda, in cottura dal mattino fino all’ora di pranzo, impregnata di salsa di pomodoro fino all’ultima fibra. La bistecchina arrotolata su se stessa, gli spinaci diventati poltiglia. Così mi ero attrezzato con un thermos di passato di verdura, pomodori e panino.

Non poteva durare a lungo. Altra soluzione, avevamo optato per una trattoria nella cittadina: primo, secondo e contorno, un frutto per 1000 lire, prezzo mensile poco meno del 20% dello stipendio. Va bene fino a che vivi con i tuoi genitori e hai un stipendio adeguato.

Al prezzo di scontri e interminabili negoziati con l’Azienda ottenemmo la mensa aziendale, con il costo in gran parte a carico dell’Azienda stessa (all’epoca gli utili lo consentivano ampiamente), un’ottima mensa almeno fino a qualche anno fa.panino-da-casa

E’ quando ho rivisto quel thermos nella fotografia dei bambini che pur pranzano allegri, quei contenitori multicolori, le scatolette dalle scritte vivaci ed il bambino che vi infila la forchetta: è lì che ho avuto un attimo di sconforto. Un salto indietro di oltre 40 anni.

Certo, il cibo preparato dalla mamma ha meriti e sapori che quello della mensa non avrà mai. Ma ha senso mangiare cibo preparato magari il giorno prima e mangiarlo freddo? Acciughe fritte e scatolette? E cosa succederà quando la Società di gestione si accorgerà di non potersi più permettere i prezzi che pratica a causa della diminuzione irreversibile dell’utenza?

Il problema non sono gli utili delle Società di gestione, bensì la sopravvivenza del servizio per chi lo utilizza. E, da cittadini italiani, la sopravvivenza della pasta calda e al dente, anche senza essere fanatici dei ristoranti stellati.

Più ancora rattrista ed umilia il pensiero che probabilmente questo supplemento di lavoro per le mamme sia dettato più che altro dalla necessità di un marginale ma significativo risparmio.

Gianpaolo Nardi

gianpaolon@vicini.to.it

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