Per i torinesi ( e gli altri italiani) che hanno guardato in chiaro la cerimonia degli Oscar su TV8, a partire dalle ore 23.40 non è stata una vera sorpresa ascoltare questa dichiarazione di uno dei vincitori: “Abbiamo realizzato un film su un omosessuale, immigrato, che ha vissuto impudentemente, e il fatto che questa sera stiamo festeggiando lui e la sua vita è la prova che abbiamo bisogno di storie come questa.”
Le parole di Rami Malek, figlio di egiziani, alter ego perfetto di Freddie Mercury, illuminano quest’edizione 2019 e danno ragione dei quattro Oscar a Bohemian Rhapsody (miglior attore, montaggio, suono e montaggio sonoro).
Anzichè ad un unico film accchiappapremi, quest’anno l’Academy ha distribuito i riconoscimenti a più pellicole, raggruppate nel segno della diversità: infatti le statuette per miglior film straniero, miglior regia e fotografia sono andate a Roma, di Alfonso Cuaron, amarcord struggente del regista, che ricorda il valore della cura esercitata nei confronti dei membri della sua famiglia da una donna di servizio messicana. Un volto come quello dei tanti immigrati che bussano alle porte degli Stati Uniti alla ricerca di lavoro e speranze, diventa il cuore narrativo e valoriale del film, acclamato anche al Festival di Venezia 2018 (Leone d’oro).
Miglior film Green Book, di Peter Farrelly, inno alla solidarietà interetnica e al potere salvifico della cultura, che si aggiudica anche la statuetta del miglior attore non protagonista e della miglior sceneggiatura originale.
Premio alla migliore attrice va a Olivia Colman, protagonista dell’audace La favorita, di Yorgos Lanthimos, nel ruolo di Anna d’Inghilterra, regina bisessuale ed eccentrica. Altro riconoscimento femminile a Lady Gaga (miglior canzone) per “Shallow”, tratta da A Star Is Born, diretto da Bradley Cooper, il quale ha vinto la sfida di portare sul palco dell’ Academy un’artista tanto trasgressiva quanto fino ad ora improbabile nei panni di attrice.
L’Oscar al film di Spike Lee, (sceneggiatura non originale) denota l’attenzione che si era data a BlacKkKlansman, presente nel palmares dei possibili vincitori nelle categorie maggiori, come pure le tre statuette a Black Panther di Ludwig Goransson (miglior colonna sonora, scenografia e costumi): il trend afroamericano è confermato pure dai premi a Regina King (miglior attrice non protagonista) per Se la strada potesse parlare e a Mahershala Ali (miglior attore non protagonista).
Ancora denuncia sociale in Period. End of sentence (miglior cortometraggio documentario) diretto da due donne, Rayka Zehtabchi e Melissa Berton, che narra un episodio della difficile strada per l’emancipazione femminile in India, mentre Skin (miglior cortometraggio) dell’israeliano Guy Nattiv, mostra il clima di razzismo della provincia americana attraverso il conflitto tra due padri, un bianco suprematista e un nero, e dei loro figli.
Tra le molte dichiarazioni politically correct di quest’edizione che ha visto premiato un gran numero di donne e di artisti di colore, ci piace ancora ricordare le parole di Javier Bardem, pronunciate volutamente in spagnolo: ”Le frontiere e i muri non fermano l’ingegno e il talento”.
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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