Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. L’audacia ha del genio, del potere, della magia. (Goethe)

 

Immagina di essere te stesso: la sfida di “Teatro Selvatico”

«Una vita sociale sana si trova soltanto quando nello specchio di ogni anima la comunità intera trova il suo riflesso e quando nella comunità intera le virtù di ognuno vivono» (Rudolf Steiner): con questo presupposto nasce “Teatro Selvatico”, un felice progetto di teatro educativo in cui a parlare sono i corpi, le emozioni e le espressioni.

Gli ideatori sono Marta Maltese e Isacco Caraccio, giovanissimi operatori teatrali che hanno condiviso entrambi (tra le altre cose) un percorso di teatro educativo coi bambini presso il Teatro Stabile di Grosseto.

– Da quale idea nasce “Teatro Selvatico” e cos’ha da offrire un progetto di questo tipo?

Dunque, entrambi abbiamo tenuto corsi scolastici ed extra-scolastici per i bambini, mentre maturavamo esperienza nell’ambito del teatro-danza. Dopo un po’ ci siamo chiesti: perché non provare a creare la nostra realtà sulla base delle persone che siamo, dei nostri interessi, delle nostre propensioni naturali, dei nostri linguaggi artistici specifici e in che ambienti vogliamo indirizzare le nostre sensibilità artistiche? Isacco vive in una casa nel cuneese che è anche un’associazione culturale, costituita insieme a sua mamma (fotografa e scrittrice) e al compagno (musicista). L’idea è stata quella di dare vita a una comunità artistica, con sede in questa dimora unica e indipendente nella natura; questa casa accoglie tantissimi animali (cavalli, cani e gatti), una grotta di quasi cento metri e chilometri di prato e bosco. Avevamo sostanzialmente già una sede in cui vivevano artisti e amatori dell’arte e del benessere: l’attività si è formata così e ora ha preso vita specificatamente sotto forma teatrale. Il collettivo si è presto espanso, accogliendo anche fotografi, musicisti, artisti circensi e danzatori. Noi non offriamo un corso di teatro classico con materie come dizione o che preveda la creazione di uno spettacolo (non ne siamo in grado): l’offerta è creare progetti educativi per gli asili nidi nel bosco o per qualsiasi altro tipo di scuola del territorio. Più che spettacoli noi facciamo performance esperienziali da svolgersi nella natura o che abbiamo richiesto un processo creativo condotto nella natura. Creiamo anche molti progetti a chiamate, cercando la collaborazione di artisti che non siano componenti del collettivo ma abbiano qualcosa da darci: a guidarci è il contatto uomo-natura, che abbiamo la fortuna di poter sperimentare tutti i giorni.

– E riuscite a vivere di questo?

Al momento noi non viviamo di questo, ogni artista ha anche la sua vita (chi in Veneto, chi a Bologna, chi a Torino). Apri un corso con mille speranze ma presto devi affrontare le spese di affitto, viaggio e reperimento dei materiali: è possibile andare in rosso persino con un congruo numero di partecipanti. Ora ci stiamo costituendo come associazione, ma anche questo ha un costo (il commercialista, l’atto del notaio ecc.): fortunatamente esiste il progetto Hangar Piemonte (con sede a Torino), che offre la possibilità a realtà del territorio di avere delle consulenze con esperti in ambito di marketing e comunicazione (aspetti meno artistici ma più utili dal punto di vista “aziendale”). Di certo stiamo cercando di caratterizzarci sempre di più, puntando sulla nostra individualità: quali attività portano via molto tempo ma non fruttano? Quali non sono redditizie economicamente ma procurano una buona rete di contatti? Come entrare in contatto con parchi nazionali o enti di questo genere?

– Come si svolge una vostra performance tipo?

C’è sempre una forte interazione spettatore-attori. Prendo ad esempio la nostra performance Treetheatre, che si svolge quasi sempre in contesti naturali: la danzatrice ha una serie di fili legati alle gambe e alle braccia e attaccati a varie parti dello spazio, da immaginare come rami. Lei è un albero e, in venti minuti circa, deve compiere il suo viaggio da essere seme a diventare albero adulto. Nel frattempo un musicista fa musica sul momento e un attore si rivolge al pubblico attraverso poesie, racconti e dialoghi dedicati al tema dell’albero. Intanto gli spettatori hanno dei fogli su cui possono scrivere i loro pensieri: sono poi liberi di entrare nello spazio performativo e appenderli sui fili con tante mollette.

– Sul vostro profilo Instagram ho trovato una citazione di Jerzy Grotowsky che mi ha molto colpito e mi chiedevo se potessi spiegarla: «L’attore non deve illustrare, ma compiere un “atto dell’anima” tramite il suo organismo».

Non ho mai provato a spiegare questa frase a parole e non so come farlo. Posso dire che quando sono sulla scena in uno spettacolo, in un’improvvisazione per un pubblico, quello che sento è che è il mio corpo che fa da tramite di un mio stato interno. Passo le mie sensazioni fisiche di quel momento e sento che le mie mani diventano qualcos’altro, che le mie mani non sono più le mie mani e col mio sguardo e col mio corpo espando la sensazione che sto vivendo dall’interno. Quindi sì, il mio corpo è un mezzo e non sono solo i muscoli. Peraltro ora studio al Labperm di Torino con Domenico Castaldo, che si è formato con grandi attori del teatro italiano (soprattutto presso il Workcenter di Grotowsky) ed ora insegna l’arte dell’attore attraverso il canto e l’azione fisica. In questo momento sto metabolizzando gli effetti del suo pazzesco studio sulla voce: è la ricerca di un canto oltre l’accademico, un canto dell’anima. La cosa importante è avere bene a mente i meccanismi fisici alla base dell’emissione fonica, per poterli gestire e valorizzare.

– Quant’è importante e come viene gestita la componente musicale delle vostre performance?

Piercarlo Bormida, che collabora con noi, ha studiato anche pianoforte e musica classica in generale e adesso si dedica ai sintetizzatori. Il suo forte legame con la cultura nordica si esprime anche in alcune ricerche sul linguaggio delle rune: tramite delle posizioni più o meno statiche del corpo e un’emissione vocale precisa (si fa anche in gruppo) si attiverebbero i poteri delle rune (yoga runico). C’è poi una sorta di tendenza alla meditazione sonora, che lui crea attraverso un sapiente studio delle frequenze e imbastisce poi di vari suoni e rimandi sonori. La sua è un’acuta elettronica di effettistica, quella di un Brian Eno più disteso che cerca sonorità alla space cello/voix humaine puntando sulla ricerca degli armonici: sopra a frequentissime figurazioni ostinate al basso, i sintetizzatori creano impulsi ritmici modulari e costanti che si alternano a brevi momenti melodici (massimo a due voci e spesso in canone).

Togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, dare valore al silenzio, alla luce, alla dolcezza: questa la proposta di “Teatro Selvatico”, la sfida di una comune di giovani artisti decisi a promuovere un ritorno consapevole alla dimensione naturale; il che, evidentemente, non può che far bene.

Matteo Gentile

matteog@vicini.to.it

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