Preso atto tardivamente che l’impennata di violenze femminili non può ascriversi solamente alla questione dei rapporti fra sessi ma investe questioni più profonde e radicate, da molte parti si sta facendo strada la consapevolezza che l’argomento va affrontato nella sua complessità. Il “Cerchio degli uomini”, che agisce a Torino da più di 20 anni, si è fatto carico di un percorso che ha individuato nel cambiamento degli uomini una strada decisiva per superare mentalità patriarcali e maschiliste ancora così presenti e radicate.
L’associazione mira, attraverso le sue molteplici iniziative, alla costruzione di una società più paritaria nel rispetto delle diversità: di genere, di orientamento sessuale, di religione e cultura; e a contrastare qualsiasi forma di violenza,.
Il Cerchio si propone, attraverso iniziative diversificate, di aiutare i maschi a sviluppare nuove e approfondite riflessioni sul proprio essere in rapporto alle relazioni intime, alla paternità, alle amicizie, all’omofobia, al rapporto col corpo e la sessualità, alla violenza.
ll dottor Fabrizio De Milato, Segretario, operatore e formatore del Cerchio degli Uomini ha risposto ad alcune domande riguardanti l’attività del Cerchio.
Quanti uomini partecipano al Cerchio e qual è la percentuale degli abbandoni.
Negli ultimi anni il centro d’ascolto, servizio all’interno dell’Associazione Cerchio degli Uomini, ha accolto tra gli 80 e i 100 uomini l’anno. In alcuni casi hanno frequentato per un numero limitato di incontri mentre buona parte si sono aggregati al lavoro in gruppo, frequentando per un minimo di 6 mesi; qualcuno ha continuato oltre ritenendo utile non accontentarsi dei risultati raggiunti. Gli “abbandoni” relativi al gruppo capitano, ma sono pochi e in genere chi inizia a partecipare continua.
Qual è l’età media dei partecipanti?
Nei servizi messi a disposizione non si è notata una maggiore o minore partecipazione rispetto alle fasce d’età, dato confermato anche dalle statistiche nazionali dalle quali non emerge un identikit del maltrattante.
I giovani se ci sono, vengono autonomamente o su suggerimento, e di chi?
I giovani che si presentano non differiscono dagli adulti, possono arrivare per una loro forma di autocoscienza oppure convinti dai propri cari o inviati dai servizi; alcune volte si presentano su consiglio di avvocati o psicologi. Discorso a parte quello di minorenni o di ragazzi in carico ai servizi della Giustizia Minorile, per loro sono sempre gli assistenti sociali a creare un ponte con l’associazione.
Come si rende conto un uomo di avere reazioni eccessivamente violente, di aver superato il limite?
Le molle che spingono un maltrattante a rivolgersi al centro sono diverse: in alcuni casi dopo le esplosioni di rabbia si spaventa o inizia a vedere le conseguenze delle sue azioni, altre volte, ed è una situazione più frequente, i familiari iniziano a renderlo consapevole dei danni che causa e anche del suo stato di rabbia e sofferenza.
La partecipazione ad un gruppo che presenta problemi comuni, è già in qualche modo la strada verso la “guarigione”, o ci sono ulteriori strategie di supporto?
Il partecipare a percorsi è sicuramente un passo importante, come lo è telefonare o varcare la soglia della nostra sede, rende reale una difficoltà, anche se questo non vuol dire che non si possa continuare a negare o sminuire. Riguardo alle strategie non crediamo ne esistano di buone per tutti, noi accogliamo senza giudicare, puntiamo sulla relazione, sul riconoscimento delle emozioni e sulla capacità di vedere realmente l’altro/a, ovviamente fare questo in gruppo aiuta. Per quanto riguarda le strategie conduciamo gruppi con modalità differenti, alcuni più strutturati nel percorso e che nella maggior parte dei casi rappresentano il primo step, altri in cui lasciamo ai partecipanti l’onere di portare argomenti per poi discuterne con loro, ogni volta in intervisione o supervisione decidiamo quale percorso si avvicina di più alle esigenze della persona. Anche l’equipe è multidisciplinare e con specializzazioni differenti, questo permette di guardare le situazioni da più punti di vista e offrire molte opportunità.
Appurata la matrice culturale/sociale del problema noi donne (mogli, madri, amiche, sorelle) come possiamo contribuire?
Vista da questa prospettiva mi sentirei “borioso” a dire cosa le donne potrebbero fare. Onestamente fatico a dare suggerimenti, guardo il femminismo con ammirazione e anche un po’ di invidia, hanno iniziato decenni prima di noi, hanno avuto la forza di denunciare una situazione critica quando noi uomini ancora negavamo.
Giulia Torri
giuliat@vicini.to.it
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