Grande fermento intorno al vino. Che detto così sembra un calenbour ma non mi viene in mente altro per descrivere la vagonata di pagine che quotidianamente vengono dedicate all’argomento.
Fin qui niente da dire, la nostra regione si fa giustamente vanto di produrre i migliori vini al mondo e ci mancherebbe non darne adeguato rilievo. Ovviamente, essendo il mercato allargato ormai all’universo terracqueo, (mi aspetto presto un invio di Barolo doc su Marte come si fece per l’autoritratto Leonardesco), la lingua veicolare per decantare la qualità del prodotto non può essere solo l’italiano.
Così scopriamo, con qualche perplessità più che altro pedagogica, che esiste il “wine educator”.
Che me lo immagino a dispensare bacchettate sulle dita alla malcapitata/o che non ha prontamente intuito il retrogusto di violetta del Madagascar nel calice appena assaporato. La vita del futuro enologo è irta, a quanto pare, di difficilissime prove ed esami e un educatore apposito fa sicuramente la differenza. Anche perché i Top Buyers ( altra categoria fondamentale nella complicatissima catena enologica) potrebbero disamorarsi presto del nostro mercato così poco multilingue.
In un paese dove l’inglese è ancora parlato più o meno correttamente dal trenta per cento della popolazione potrebbe diventare interessante un sostegno dei “Wine educator”, così giusto per districarsi un po’.
Giulia Torri
giuliat@vicini.to.it
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