La sequenza iniziale di un cuore vero e pulsante in un intervento a torace aperto fa comprendere allo spettatore di essere alle prese con un film che avrà il potere di disturbarlo. Infatti la storia mostra Steven, un cardiochirurgo affermato, dalla famiglia apparentemente perfetta, frequentare di nascosto un giovane ambiguo, Martin. L’atmosfera si carica di ulteriore inquietudine venendo a conoscere le ragioni del legame tra il medico e il ragazzo, mentre quest’ultimo avvia una relazione sempre più ravvicinata e morbosa anche con i figli e la moglie del protagonista.
Nella prima parte l’incedere nei corridoi dell’ospedale di Steven e del collega anestesista, enfatizzato dalla solennità della colonna sonora, esprime quel potere conferito dal ruolo che ben conosce chi ha pratica degli ospedali. Ma i rapporti di potere possono mutare, in virtù delle bizzarrie del Fato che governa le vite umane e quando il Destino gli volta le spalle, il protagonista entra in una spirale in cui perde autorità e forza e a decidere per lui sarà nuovamente il Caso, nella forma della roulette russa del finale.
A onor del vero si fa fatica a seguire fino in fondo Steven – uomo di scienza – nell’accettazione del “maleficio” e dell’irrazionalità che si abbattono sull’ esistenza sua e dei suoi cari. Ma si tratta di una metafora, avverte il giovane persecutore Martin, del tormento prodotto dal senso di colpa per un crimine commesso per leggerezza e da una vendetta come può concepirla un essere umano.
La famiglia borghese, secondo Yorgos Lanthimos, classe 1973, regista di culto, che con questo film si è aggiudicato nel 2017, a Cannes, il premio per la migliore sceneggiatura, è il ricettacolo di meschinità e segreti; non preserva da un approccio tormentato alla sessualità; in essa, i rapporti tra gli individui si aliimentano di repressioni o complicità malsane. I figli del medico (la femmina, sopratttto, che non a caso interpreta in una recita scolastica il ruolo di Ifigenia) sono pedine destinate al sacrificio in un gioco al massacro condotto da genitori irresponsabili e fragili.
Insomma: destabilizza ma fa pensare l’ultima fatica di Lanthimos, che rimanda a quella Tragedia greca di cui il regista è imbevuto per nascita e cultura. E se affascina la maestria di carrellate e zoomate, la perfezione “chirurgica” delle inquadrature e dei piani sequenza, che valorizzano lo skyline e gli scorci della città di Cincinnati, è doveroso percisare che, in virtù della recitazione volutamente poco empatica di Steven (Colin Farrell) e Anna (Nicole Kidman), questo thriller psicologico si rivela in grado di parlare più alla mente che al cuore.
Regia di Yorgos Lanthimos. Con Colin Farrell, Nicole Kidman, Barry Keoghan.
In questi giorni nelle sale torinesi.
Anna Scotton
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