C’è un ragazzo di 87 anni, inglese, che da cinquant’anni a questa parte continua a navigare in direzione ostinata e contraria alla marea di ingiustizie che sommerge la società. Quel ragazzo che non smette di credere nella possibilità di cambiare il mondo si chiama Ken Loach ed è appena giunto sugli schermi il suo ultimo lavoro, The old oak. La storia racconta di un paese del nord est dell’Inghilterra, un tempo zona di miniere ora purtroppo chiuse: siamo nel 2016, la rabbia sociale viene inasprita dall’arrivo di un alto numero di rifugiati siriani. Le difficoltà economiche hanno cancellato ogni compassione umana e scatta l’ostilità verso i nuovi venuti. Alla perdita del lavoro – ben rappresentato dal pugno nello stomaco del precedente Sorry we missed you – corrisponde la perdita del senso della comunità. La gente del villaggio è “amareggiata, triste, priva di speranza” e così viene meno anche la tradizionale solidarietà, che storicamente univa i minatori, la cui sopravvivenza è legata a chi gli lavora a fianco, se c’è un crollo, un’esplosione…quella stessa comunione che aveva reso i loro sindacati di categoria molto forti.
In collegamento con 70 sale italiane, The old oak è stato accompagnato l’altra sera al cinema Eliseo da una videointervista in cui il Maestro – due volte Palma d’oro a Cannes, Leone d’oro alla carriera – si è concesso in maniera generosa alle domande degli spettatori. Ne è emersa una riflessione sulla capacità di Loach di costruire un gruppo di lavoro, sia davanti che dietro la macchina da presa, che dà forza alla sua estetica e alla sua idea di cinema.
Innanzi tutto funzionano gli interpreti, tutti a servizio del ”momento di verità” che è il film: a partire da quelli “presi dalla strada”, come la donna siriana colpita realmente da lutti, il cui pianto nell’inquadratura è fatto di lacrime vere. Molti degli attori professionisti condividono l’intento politico dell’artista: come Dave Turner, che impersona T J Ballantyne, il gestore del pub del paese (“la vecchia quercia” del titolo), testimone personale del razzismo che serpeggiava tra gli avventori di un locale che nella vita ha davvero gestito; l’attrice Claire Rodgerson lavora in un’associazione che combatte la diffusione delle idee dell’estrema destra tra i giovani, mentre il comico Chris McGlade, che interpreta Vic, nei suoi spettacoli prende di mira arretratezza colturale e xenofobia diffuse. Anche per The old oak il regista si è avvalso della collaborazione di Paul Laverty, fedele sceneggiatore fin dal 1996, da quando come avvocato e attivista in Nicaragua aveva riportato quell’ esperienza nel film La canzone di Carla.
Il finale è illuminato dal richiamo alla solidarietà collettiva con questi “nuovi vicini” che magari hanno un colore di pelle diverso, parlano una lingua diversa, quella solidarietà che è la roccia su cui possiamo costruire, nel vostro come nel mio Paese”. Insomma: è da non perdere l’ultima fatica dell’ esponente storico della “sinistra dura”, corbiniana, del Partito laburista inglese, ancora persuaso che “se ci sarà un cambiamento nella società questo verrà dalla classe operaia”. E che se ne è andato a pugno chiuso, esortando il pubblico in sala: “in ogni caso ognuno faccia la sua parte, e poiché io sono stramaledettamente vecchio, tocca a voi”.
Con: Dave Turner, Ebla Mari, Claire Rodgerson, Trevor Fox, Chris McGlade
Nelle sale torinesi
Voto: 9/10
Anna Scotton
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