“Potevamo soccombere, invece siamo qui, vivi più che mai”. In una situazione sanitaria controllata, anche se non risolta, Gaetano Renda ha organizzato, in apertura di un 40° Torino Film Festival tutto in presenza, un convegno sulla situazione delle sale cinematografiche nel nostro Paese. L’esercente di Centrale, Fratelli Marx e Due Giardini ha dialogato con numerosi ospiti (l’elenco degli intervenuti qui) in un incontro assai denso, sottolineando come l’emergenza pandemica abbia sconvolto il nostro sistema culturale, penalizzando – alla resa dei conti – soprattutto il cinema.
Dopo lo tsunami che ci ha investito, la gente è tornata a uscire, a frequentare musei e ristoranti, mentre le sale risultano in sofferenza: il Covid ha fatto perdere il 70 % degli spettatori rispetto al 2019, nel nostro Paese hanno chiuso centinaia di cinema.
Come rivitalizzare la più grande forma di intrattenimento culturale, che nel 2019 determinava 2.800.000 ingressi solo a Torino? E riuscire a non perdere il ruolo sociale e aggregativo di luoghi capaci di accogliere un pubblico trasversale per età, cultura, ceto sociale? Si tratterebbe, essenzialmente, di modificare le finestre con l’allungamento dei tempi di messa in streaming dei prodotti audiovisivi. Se è vero che le piattaforme negli ultimi anni sono state attive come non mai fornendo opportunità di lavoro ai professionisti del settore televisivo e cinematografico, l’ultimo tassello della filiera è stato fortemente penalizzato dall’offerta online, da una parte, e dal timore perdurante del pubblico di tornare nelle sale, dall’altra.
Il Governo, che peraltro finanzia il 40 per cento delle produzioni, dovrebbe intervenire attraverso sconti e incentivi, ma soprattutto seguendo la strada indicata dai cugini d’Oltralpe: da loro le piattaforme possono distribuire i film solo 15 mesi dopo il loro passaggio nelle sale di prima visione e seconda visione (da noi sono 90 giorni!). Del resto la Francia, che ha circa 7 milioni di abitanti più di noi, stacca mediamente il doppio dei nostri biglietti annui. Da inizio 2022 al 31 ottobre, gli spettatori italiani sono stati 36 milioni, in Francia nello stesso periodo 120 milioni.
Ma la questione non è solo economica: i cinema sono antidoto al logoramento psicologico prodotto dalla pandemia, creano occasioni di relazione umana e favoriscono la coesione sociale. Per i giovani, infragiliti dalla solitudine vissuta negli ultimi anni, la sala può rappresentare la possibilità di uscire, aprirsi, vedere persone e fare esperienze comuni. Anche l’isolamento domestico, tra i membri della famiglia, può essere vinto in una dimensione di condivisione culturale andando tutti insieme al cinema, dove pure le scuole dovrebbero portare gli allievi , mostrando film che allenano alla capacità di dibattere dopo la visione condivisa, e compiendo l’operazione di educazione civica di cui abbiamo bisogno.
Va detto che senza il grande schermo, non esisterebbero il cinema d’autore, d’essai, e neanche i festival. La sala è un bene comune, ma il giurista ricorda che la legge 14 fin dal 2016 ne prevede la valorizzazione in quanto anche “bene culturale”: pertanto la “cannibalizzazione” attuata dalle piattaforme viola, nei fatti, questa norma. Fermi restando i valori culturali, estetici, politici, sociali, la sola ragione dell’esistenza del cinema è di essere visto ( Lorenzo Ventavoli): “nelle sale cinematografiche”, aggiunge, doverosamente, Renda.
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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