Il Dpcm del 25 ottobre 2020, in vigore da lunedì 26 ottobre al 24 novembre 2020 aveva imposto la chiusura di cinema, teatri e sale da concerto, mentre consentiva l’apertura di musei e istituzioni culturali. Avevamo interpellato, in merito, Gaetano Renda, esercente delle sale cinematografiche torinesi Due Giardini, Centrale d’Essai e Fratelli Marx ed eravamo in attesa di conoscere le ragioni del Governo, nella figura del responsabile dell’ Ufficio Stampa del Mibact (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo). La gravità dell’emergenza sanitaria che imporrà in queste ora l’uscita di un nuovo decreto, e che spiega il silenzio dell’interlocutore istituzionale, ci spinge a pubblicare comunque l’intervista a Renda, spunto di riflessione rispetto alle nuove scelte che verranno fatte e alle ragioni di tutte le parti in causa.
Renda quali sono state le motivazioni che hanno spinto a chiudere cinema e teatri e lasciare aperti i musei?
La ratio è limitare gli spostamenti in città. Inoltre le persone raccolte in un cinema seppure in numero ridotto (ad es. al Centrale da 150 a 50 spettatori al massimo) fanno comunità. In un museo, al contrario, i visitatori si dividono nelle varie sale, stanno più lontani. Però quando abbiamo riaperto, cioè il 15 di giugno, c’erano delle prescrizioni sanitarie e le abbiamo rispettate: igienizzazione, distanziamento, mascherine. Un atteggiamento virtuoso, che non è stato premiato.
Cosa pensa del decreto?
Il mio giudizio è critico: rispetto il provvedimento, ma potessi terrei aperto convinto che i cinema così come i teatri siano penalizzati a torto. Le sale sono un agnello facile da sacrificare, nonostante le belle parole che le definiscono un “presidio culturale”. Il Ministro Franceschini che chiude sale e teatri per eliminare la mobilità in città e invita le televisioni a proporre più cinema e più teatro, promuove una grande Netflix della cultura, che francamente indispettisce. Sta passando l’idea che dentro casa possiamo trovare tutto (film, corsi di cucina, serie televisive, teatro, fra poco ci sarà anche la tv olfattiva…), mentre nello stare insieme un Paese fonda la sua capacità di democrazia. Oltre alla realtà ovvia che al cinema o a teatro ci si va col proprio mezzo, non ci si contagia sui pullman, che rappresentano il problema di questo momento come sono stati dopo il lockdown i luoghi di aggregazione. Bar e ristoranti non sono stati sufficientemente controllati, mentre cinema e teatri, in cui le persone si mettevano sedute ben distanziate, non hanno innescato focolai.
Il settore come ha reagito?
Si patisce una debolezza di sistema: nella pratica quotidiana ci sono micro e medie imprese, che sono quelle che gestiscono i cinema, i teatri privati e i teatri pubblici. Questi ultimi hanno aperto non appena è stato dato l’ok, riducendo i posti, la loro attività è ripresa mentre nessun teatro privato ha riaperto. Non c’è un “sistema cultura” perché, se ci fosse, i lavoratori dello spettacolo reagirebbero al finanziamento Ristori, che è una miseria. Si paga il prezzo di essere una miriade di associazioni, di singoli, sui quali di volta in volta “si mette un cappello diverso”, culturale o politico. Nel momento in cui c’è stata la pandemia mostra di essere un gigante con i piedi d’argilla e crolla. La Regione è intervenuta con il Bonus Piemonte, in tempi rapidi, bisogna dire, ma ha erogato per ogni cinema 1500 euro, una tantum, un’inezia per un’attività ferma da più di 5 mesi.
Ci sono margini per un eventuale ripensamento da parte del Governo, dati gli appelli dal mondo della cultura e della politica?
Non ci sono, e io sono pessimista, non penso che il 25 di novembre il problema sanitario sarà superato e quindi non si riaprirà, mi sembra una boutade consolatoria. Inoltre per aprire devi garantire alle sale la possibilità di programmare dei film, con lo stop alle produzioni nel mondo per la crisi legata al Covid-19 al momento c’è a disposizione una quindicina di titoli che tutti i cinema dovranno contendersi: quindi i cinema apriranno, non avranno pubblico, ma avranno le spese correnti. Con la chiusura sono attutite, perché scatta la cassa integrazione, hai meno costi di gestione, pulizie…
Franceschini ha promesso sostegno economico immediato. Sarà così?
Il comparto cinema è in parte assistenzialistico, gode di una serie di benefici sotto forma di credito d’imposta da una parte, oppure c’è una premialità per l’attività che si svolge. Ad esempio alle sale italiane che hanno scelto di essere “d’essai” (protocollo da seguire, scelte da fare, un punteggio da raggiungere..) viene attribuito un fondo. Però dobbiamo ancora ricevere i fondi del 2019, abbiamo appena avuto quelli del 2018. La cassa integrazione per il Covid-19 è arrivata con diversi mesi di ritardo ai dipendenti. I fondi del decreto Ristori per compensare le perdite dei cinema dei primi mesi del 2020 stanno arrivando in questi giorni, con diversi mesi di ritardo, mentre le spese sono fisse, quotidiane. Mi auguro che i fondi stabiliti dal Governo nei giorni scorsi giungano in tempi brevi. Io sono un ottimista razionale, sono impegnato in questo lavoro da decenni e vorrei continuare a farlo con l’ottimismo che sta nel dna di ogni imprenditore. Resta l’amarezza per lo stop a un settore che era stato virtuoso e, invece di essere premiato, è stato penalizzato: tanto valeva non sanificare i locali, non investire economicamente per il rispetto dei protocolli di sicurezza.
Cos’altro si sarebbe potuto fare?
Invece di abbattere una scure indiscriminata su tutti, punire chi non rispetta le regole. Si pensi alle foto delle code alla stazione sciistica di Cervinia: quella coda si è formata nel corso di ore, durante le quali avrebbe dovuto arrivare una pattuglia di vigili minacciando i gestori di chiudere gli impianti, di ritirare la concessione perché si stava mettendo a rischio la salute di tutti. Mantenere le attività virtuose, avrebbe consentito all’economia di andare aventi e, per lo Stato, mandare meno risorse a compensazione, incassare più tasse dal lavoro che ciascuno di noi avrebbe svolto. Soluzioni alternative avrebbero potuto essere trovate, anche nel cinema: invece che dire “si chiude” e basta, consentire aperture parziali, com’è per i ristoranti, accessi contingentati. Avrebbe giovato anche allo stato d’animo dei cittadini, per affrontare questo lungo inverno che ci attende.
Anna Scotton
annas@vicini.to.it
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